Veronica Galletta è nata in una città, Siracusa, di cui mi sono innamorata al primo sguardo e vive in una città, Livorno, che forse amo più della mia città d’origine, Firenze.
Ormai l’ho scritto, non si torna indietro.
Ho letto il suo primo romanzo, Le isole di Norman, seduta su uno scoglio di fronte all’Ortigia, dall’altra parte del mare. Non ne avevo idea, l’avevo scelto per la copertina, attratta da qualcosa che tutt’ora non so spiegare.
Certi libri fanno così, ti parlano già dalla copertina, e poi nel testo.
Il suo secondo romanzo, invece, l’ho aspettato. Come si aspetta il ritorno di una voce che in qualche modo hai riconosciuto come aderente alla tua mappa.
Nina sull’argine è un romanzo interno, ti dice quello che accade dentro Nina. I pensieri, le paure, domande e fiumi da arginare mentre all’esterno le cose si muovono. Amori da interrompere, ponti da costruire. E costruirsi, riconoscersi, trovarsi. Trovare un posto.
Come se ci fossero sempre due Caterina. Una parla e l’altra la prega di stare zitta.
E in qualche modo arginarsi.
È un romanzo su un momento, isolato nel suo procedere nell’arco di un anno, che parte con una rottura e un cambio di passo. Smottamenti e assestamento.
È un romanzo che non grida, che narra sottovoce fatiche e smarrimento. E responsabilità.
Ma Caterina lo sa che tutto si muove, anche quando appare fermo. Sa che il movimento è sempre meglio governarlo che subirlo.
Nina una di noi, mi sono ritrovata a pensare mentre leggevo. E ho sorriso. Una di noi, che ha paura di perdersi perché non si è ancora trovata, che non sa come vivere nel mondo perché di quel mondo percepisce le storture e non sa se e in che modo riuscirà a mantenersi intatta. Una di noi, chirurgica nel dividere i suoi libri da quelli di lui. Tesa e in allerta in un lavoro in cui è donna in mezzo a uomini. Una di noi, che riesce a vedere quello di cui ha bisogno, capace di ritrovare il proprio baricentro in uno scavo di un’opera idraulica a Spina, frazione di Fulcré.
In pendenza, quello squilibrio che ci portiamo dentro, incastrati tra le cose da fare, nel tentativo di accontentare tutti.
La scrittura di Veronica Galletta costruisce un cantiere e costruisce Nina, in sovrapposizione. Ci restituisce la geografia emozionale di una porzione di mondo fatta di assessori e geometri, operai e manovali, ci racconta di burocrazia, corruzione, lavoro, sicurezza sul lavoro e morti bianche in un fluire continuo, senza inciampi o sbavature, giocando con un linguaggio tecnico che si alterna e si fonde al linguaggio interiore di Nina. Ci racconta una storia in cui non accade niente ma succede tutto. La vita, la morte e le stagioni che si rincorrono, porte che si chiudono e porte che si aprono.
Un tempo in levare, anche quando sarebbe il momento di battere. Forse il suo posto è là, nel tempo a levare, in quel tempo inesistente del tragitto fra casa e cantiere, in quello spazio diffuso di quei chilometri che la portano da un mondo all’altro. Da un mondo all’altro mentre lei cerca sempre la stessa cosa. Un posto dove stare.
Nina sull’argine parla, dice delle cose. Alcune le senti subito, altre arrivano dopo, quando ormai l’hai finito e l’hai lasciato appoggiato in un angolo della scrivania perché sai che non è ancora il momento di metterlo al suo posto sulla libreria.
Arrivano dopo, perché le dice sottovoce.
Veronica Galletta
Nina sull’argine
Minumum fax, 2021
pp. 216
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