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di parole e promesse

Quando mi sono detta ‘non scriverai mai più, le parole se ne sono andate’ ho pensato che sarei morta. Morta in modo irreale, surreale. Come se mi fossi potuta dissolvere, così. Schiantata, con un botto o uno schiocco secco.

Non ho scritto niente, una frase, una parola, qualcosa che assomigliasse al raccontare una storia per quasi cinque anni.

Sono tanti.

È stato orribile. E faticoso. Imparare a vivere senza le parole. Guardare il mondo senza le parole. Cercare di capire le cose senza le parole. Orribile e faticoso. Per mesi ho sbagliato le misure dei sentimenti, andavo a sbattere contro le cose e le persone. Soprattutto contro le persone. Pensavo che mi sarei dissolta, o schiantata. Non è accaduto, ma sono stati lo stesso cinque anni di merda. Cinque anni assenti, annacquati, con il volume al minimo.
Il silenzio è stata la cosa più difficile. Il silenzio nella testa. Niente storie, niente personaggi, niente immagini, niente di niente.
Orribile.

Ho smesso di scrivere perché. Ho smesso di scrivere perché lavorare a Ni una más. Ho smesso di scrivere perché lavorare a Ni una más mi ha lasciata sgonfia, molle. Perché sono affondata nel sangue e nel dolore delle donne. Perché poi ho dovuto affrontare le dinamiche del mondo reale e la mia scrittura, la scrittura di un testo estremamente politico, non era completamente sotto il mio controllo. Perché tecnicamente avevo raggiunto un livello da cui non potevo scendere ma da cui non sapevo come proseguire.
Ho smesso di scrivere perché non mi piacevano più gli esseri umani. Mi erano sempre piaciuti gli essere umani. Scrivere delle loro scintille, delle loro insurrezioni. Guardavo le persone e non vedevo scintille. Di cosa mai avrei potuto scrivere senza le scintille?
Ho smesso di scrivere perché volevo di più. Volevo che qualcuno mi vedesse. Volevo che qualcuno si rendesse conto di quanto fossi dannatamente brava. Volevo i lettori e le lettrici, volevo autorevolezza, volevo un posto nel mondo. Non scrivevo più. Mettevo insieme le parole e le frasi cercando qualcosa che andava oltre la scrittura. Scrivevo cercando un riconoscimento. Ho smesso perché non sarebbe mai arrivato, e raccontare storie aveva perso senso. Il mio senso. Ne aveva un altro con cui non potevo e non riuscivo e non volevo avere a che fare.
Ho smesso di scrivere perché non sono stata in grado di difendere la mia scrittura, la mia creatività. L’ho messa al secondo posto, dietro tutto il resto. E la scrittura deve essere messa al primo posto.
Ho speso molte energie per perdonarmi per questo. E non son sicura di averlo ancora fatto del tutto.

Cinque anni di silenzio. Ho smesso di pensarci, ho smesso di cercarle. Non so se ho smesso di aspettarle, ma non credo.

Quando sono tornate mi sono spaventata. Quando sono tornate, come una slavina, ho vomitato. Sono tornate, nuove. Nuove e diverse. La mia scrittura è diversa. Mi piace molto. Mi piace molto lei e mi piace imparare a conoscerla, entrare con calma in questo ritmo nuovo, in questo suono nuovo. Stiamo andando da qualche parte, non ci siamo ancora dette dove ma in questo momento non importa. Ci penseremo quando sarà, quel momento. Per adesso va bene cosi.

Con la promessa, a me stessa, non di metterla mai più per nessuna ragione per nessuna persona al secondo posto.

un blocco bianco su un tavolo di legno con sopra appoggiata una penna

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