Settanta acrilico trenta lana – Viola Di Grado
Quando ho finito “Settanta acrilico trenta lana” ho pensato: voglio leggere tutto quello che scriverà Viola Di Grado. Scriverà, sì, perché questo è il suo primo libro. Questo dovrebbe bastare. Ma aggiungo. A tratti la sua scrittura mi ha ricordato quella di “Senza pudore” di Helen Walsh. Chirurgica. Anche questo potrebbe bastare. Ma aggiungo. Camelia che disseziona, taglia, sfalda, distrugge, cuce e ricrea. Camelia che calpesta e sradica fiori. Camelia e la sua mamma che “certi giorni sembrava fare a gara con gli oggetti a chi avrebbe resistito più tempo senza fare rumore. Si piantava di fronte al frigorifero. Vinceva sempre lei”. Camelia che riassesta l’esistenza con le “chiavi” degli ideogrammi cinesi, e con le parole, altre parole, cerca un nuovo senso per le cose. Camelia che vive nel silenzio e nell’assenza di tempo. Camelia e gli sguardi. Camelia e l’inverno di Leeds. Camelia che è caduta in fosso. In un fosso che ingoia tutto. Camelia che smette “di parlare neanche fosse un problema di sigarette”, che impara “a bloccare le parole come si fa con gli altri sconvenienti rumori del corpo”. E anche questo potrebbe bastare. Ma aggiungo. Viola Di Grado ha una scrittura tutta sua, ha una voce. E questo è tanto, tantissimo. Passa attraverso il linguaggio e ci racconta le cose in un modo diverso, cercando formule diverse, accostamenti di versi. Metafore diverse, aggettivi diversi. Questo soprattutto dovrebbe bastare. Ma aggiungo. “Si sedette, buttai i piatti sporchi rimasti sul tavolo, accessi il bollitore. Lui guardò sul lavabo le presine bruciate, poi la spugna annerita, poi sul tavolo le macchie tonde di caffè e i grumi di marmellata. Poi poi poi, non la smetteva di guardare, e subito dopo ogni cosa era meno sporca. Il suo viso paffuto da orologio misurava il tempo fermo della mia casa, e lo sbloccava, bastava che si guardasse intorno per sbloccarlo.” Oppure. “Provateci a farmi credere che è la bellezza che cerco. Come se io fossi così banale. La bellezza c’è già. C’è dappertutto. La bellezza Dio l’ha fatta in sei giorni e da allora non se ne va più, c’è in tutto quello che ti cresce intorno senza permesso. La bruttezza invece ci vuole l’uomo per farla, una forzatura, una stortura dell’ordine cosmico. Ci vuole l’uomo per sparare cemento sulle gardenie. La bruttezza è più umana. E’ potere. E’ una storia vera senza morale che comincia dalle mie forbici e finisce sull’acrilico fiorito di tutte le maglie fortunate.” Settanta acrilico trenta lana Viola Di Grado p. 189 2011 E/O