Il 22 febbraio del 2014 Reni Eddo-Lodge pubblica un post sul suo blog, si intitola Why I’m no longer talking to white people about race (Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche). Nel 2017 quel post è diventato un libro di cui, credo, ci sia un gran bisogno.
È un profondo senso di frustrazione che guida la scrittura di quel post in cui Reni Eddo-Lodge dice, con chiarezza ed estrema lucidità, che non parlerà più di razzismo con le persone bianche. O almeno,
Non con tutte, solo con la stragrande maggioranza che rifiuta di ammettere l’esistenza del razzismo strutturale e dei suoi sintomi.
Mette nero su bianco che non è più disposta ad affrontare il muro di negazione contro cui vanno a sbattere le sue parole, che non è tenuta a dare la priorità ai sentimenti dei bianchi. Che non deve accettare interlocutori che si sentono offesi, che si indignano, si agitano e parlano, senza ascoltarla, come se nelle loro orecchie venisse versata melassa, solo per convincerla che si sbaglia, che ha torto. Solo per esercitare potere.
Si legge nell’introduzione:
All’epoca non mi ero resa conto che, senza volere, avevo scritto una lettera di addio alla bianchezza, sancendo la nostra rottura definitiva.
Nelle pagine di Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche, c’è scritto dentro tutto quello che l’autrice potrebbe dire sul razzismo che permea l’esistente se dall’altra parte non si sentisse ripetere da bocche aperte e corpi agitati “Non tutti i bianchi! Non tutti i bianchi! Non tutti i bianchi! Non tutti i bianchi!”.
Reni Eddo-Lodge ci parla non solo del razzismo esplicito, quello facile da riconoscere, quello becero o quello ancora più esplicito dell’estrema destra, ma del razzismo strutturale, del razzismo ambiguo, sfuggente, che ti fa dubitare di te stesso. Il razzismo delle persone per bene. E ci racconta del razzismo di una nazione, la Gran Bretagna, di cui si è costruita un’immagine, non aderente alla realtà, di integrazione e multiculturalità. Ci parla del razzismo che diventa sistema, che diventa struttura, che diventa una forma di comportamento collettivo. Del razzismo come strategia di sopravvivenza di un potere sistemico.
Ci parla di privilegio bianco. Il bianco che è la norma. Il bianco che è neutro. Il bianco che è di default.
Come posso definire il privilegio bianco? È cosi difficile descrivere un’assenza. E il privilegio bianco è un’assenza delle conseguenze negative del razzismo. Un’assenza di discriminazione strutturale, un’assenza del fatto che il tuo colore venga visto anzitutto come un problema, un’assenza di “ho meno chance di riuscire perché non sono bianca”.
Il privilegio è un compiacimento ottuso e schiacciante, il privilegio è una coltre di potere asfissiante e manipolatrice che ti spinge al silenzio, alla censura di te.
Attraverso sette capitoli, densi e allo stesso tempo estremamente scorrevoli e chiari, Reni Eddo-Lodge in Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche ci parla dalla storia nera britannica. Lo schiavismo, il colonialismo e le guerre dell’impero Britannico.
Del razzismo di stato, del razzismo della polizia. Dalle rivolte di Notthing Hill negli anni ’50 a quelle di Brixton negli anni ’80.
Del sistema razzista, che infetta e pervade ogni aspetto della vita. Dalla scuola al mondo del lavoro, fino alle relazioni. Della chimera della meritocrazia e della coulored blindness. Della paura di un pianeta nero.
Del razzismo all’interno del femminismo bianco incapace di riconoscere, o ammettere, la propria posizione di privilegio. Ci parla di intersezionalità, di colore, razza e classe. Cita Audre Lorde, Angela Davis e bell hooks.
E ci parla di cosa possiamo fare noi, persone bianche.
Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche
Reni Eddo-Lodge
traduzione di Silvia Montis
Edizioni e/o