Sono molte le cose che mi piacciono de “Lo zelo e la guerra aperta”, primo lavoro della Cooperativa di narrazione popolare, progetto di scrittura libera e lettura condivisa di, per ora, Ilaria Giannini, Jacopo Nacci, Enrico Piscitelli.
È scritto bene. Parla lucidamente di precarietà. È un’autoproduzione registrata sotto licenza CC 3.0 scaricabile gratuitamente qui. È dichiaratamente un progetto aperto. Non è quindi scrittura ferma, chiusa, ma potenzialmente mutabile, in evoluzione, in movimento.
Ho letto un’intervista ai tre autori, la trovate qua, a cura di Claudia Boscolo, e mi sono piaciute le cose che dicono.
Meglio di così.
Ma andiamo con ordine.
È scritto bene, dicevo. Ed è sempre piacevole, lo dico spesso, trovarsi di fronte ad una scrittura bella, quella che lega sintassi, linguaggio e immagini in quel modo che sembra semplice ma che semplice non è. Non ci sono intoppi narrativi in questi tre racconti, in queste tre narrazioni che sono tre punti di osservazione sullo stesso fenomeno e sugli stessi personaggi. Più di un passaggio è incisivo, più di un’immagine va ad incastrarsi lì dove deve, con forza e senza fronzoli. La scrittura asciutta ottenuta per sottrazione. E si intuisce il lavoro fatto, l’aver amalgamato le tre voci senza spersonalizzarne l’intonazione naturale.
Parla lucidamente di precarietà, dicevo, e lo fa senza sbavature. E credo che sia questa la forza di questo oggetto narrativo. “Lo zelo e la guerra aperta” ci restituisce la precarietà economica, la precarietà del lavoro nella sua imprescindibile complessità. Perché precari diventano i sentimenti. Non dovrebbe succedere. Ma può succedere. Accade che diventa precario anche il passato che non riesce ad accordarsi con il presente, perché il presente si fa estraneo al concetto di futuro, alla capacità di immaginarlo, il futuro, e di farlo coincidere con i sogni ed i desideri. Non dovrebbe succedere. Ma può succedere. Accade che diventano precari anche i desideri. Succede. Si diventa precari dentro. E non ci si riconosce più, nella distorsione e nella deformazione delle proprie vite, non ci si riesce più a distinguere nell’altalenante scambiarsi di posto prioritario tra il voler difendere “la tua dignità e il rispetto di te stessa” e quella “docilità di rassegnata bestia da soma”.
È un autoproduzione, dicevo. E insomma, da queste parti le autoproduzioni ci piacciono assai. È registrato sotto licenza CC 3.0, dicevo, e lo potete, ve lo ridico, scaricare qua. E questo è quello che c’è scritto sul blog a proposito di licenza e a proposito di buoni propositi:
[…] Lo zelo e la guerra aperta sarà coperto da licenza Creative Commons BY-NC-SA 3.0, il che significa che – previa menzione degli autori e purché non a scopo di lucro – sarà liberamente copiabile, inviabile, distribuibile, e liberamente utilizzabile, nel senso che sarà possibile riprenderne i personaggi e raccontare la loro storia, prima, dopo o alternativamente ai fatti narrati. […]
Bello. Bello ribadire l’aspetto di continuità creativa delle licenze aperte. Bello. Questa, dicevo, scrittura non ferma, non chiusa, ma potenzialmente mutabile, in evoluzione, in movimento.
L’intervista, dicevo, leggetela qui. Il passaggio che preferisco è questo:
Jacopo: […] Penso che le storie siano sempre collettive, se non già completamente nella genesi, almeno nella loro funzione, e credo che dovrebbero circolare liberamente. Penso che l’autoproduzione sia una cosa bellissima. Penso che l’editoria a pagamento sia una gran brutta cosa, ma – dirò una cosa impopolare – non tanto per gli editori, quanto per gli autori a pagamento: trovo che pagare per vedere il proprio nome su una copertina, per dimostrare – pagando – di essere uno scrittore, sia terrificante, e che appartenga a un mondo in cui il lavoro che la scrittura comporta è tenuto in gran dispregio; il dispregio lo trovi sempre, sull’altro lato della venerazione, in entrambi i casi c’è una mancanza di familiarità, una distanza: la considerazione del libro come titolo nobiliare, titolo poi borghesamente comprato col danaro. […]
perché sono d’accordo su tutto, perché penso che il fenomeno dell’editoria a pagamento vada guardato e analizzato soprattutto pensando a chi decide di pagare per essere pubblicato e non rivolgendo l’attenzione solo all’editore che si fa pagare. Quando ne ho parlato alla presentazione fiorentina del Tarlo mi sono concentrata sull’aspetto di una possibile ossessione (malsana) per la pubblicazione. Pensare alla mancanza di rispetto nei confronti del lavoro insito nella scrittura è un punto di vista che non avevo ancora messo a fuoco.
Niente, io di motivi per leggere questo libro penso di averne dati abbastanza, poi fate voi.
Vi lascio così:
[…] Pratichi la filosofia da quindici anni, e per ora, salvo diversa evoluzione, il più grande insegnamento che la filosofia ti ha dato è saper capire quando è il momento di smettere di tentare il dialogo e iniziare a pensare al taglio della testa. La vita e la materia, poi, ti hanno dato un insegnamento altrettanto grande: saranno le cose che hai studiato e la possibilità di studiare ancora, l’idea stessa della conoscenza e del senso, a tenerti in vita fino al giorno in cui cadranno le teste. […]
Ah, dimenticavo, ho scoperto “Lo zelo e la guerra aperta” grazie alla recensione di S.A. su Taccuino all’idrogeno
Lo zelo e la guerra aperta
coop. narrazione popolare