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due tre cose in punta di lingua

E diciamo le cose come stanno.
Non contiamo niente. Le donne, noi,  sono una donna anche io, noi donne contiamo meno di niente.
Per quell* che hanno marciato [su Roma] per la vita valiamo meno di un’idea, perché le donne che abortiscono sono solo assassine puttane che dovevano tenere chiuse le gambe.
Perché siamo contenitori di futuri figli imposti. Perché siamo figlie, mogli, madri, e comunque, in ogni caso, adette alla cura dell’altr* in nome del nostro animo votato, per natura, alla pazienza, all’amore e al sacrificio.

Non contiamo niente. Ci ammazzano, ci sventrano, ci sfigurano, ci picchiano.
E non abbiamo neanche il diritto di essere delle stronze. Perché la vittima di femminicidio deve essere stata, in vita, per esser degna di attenzione, una santa.
Possibilmente giovane, preferibilmente bella, meglio ancora se madre, ancora meglio se incinta, così a morire siamo in due e l’effetto mediatico è assicurato.
Non abbiamo diritto a niente.
Tanto meno alla nostra identità, qualunque essa sia. Né da vive, né da morte. I ruoli sono stati assegnati e da qui non se ne esce.

Siamo, all’occorrenza, merce di scambio in campagna elettorale. Come una specie animale in via di estinzione, da tutelare. Come i panda. Come la foresta amazzonica.

Niente autonomia, niente autodeterminazione. Sul nostro corpo, sulla nostra vita, sul nostro presente e futuro, tutt* hanno qualcosa da dire.
Troviamo sempre qualcun* che vuole insegnarci come fare le cose. C’è sempre qualcun* pront* a dirci “cosa è una donna”.

Niente. Non contiamo niente. In una società (!) beota, maschilista e sessista che non sa nemmeno di esserlo.
Perché il problema sono tutt* quelli che si sentono evolut*, attent*, informat*, come dire? sul pezzo, orgoglios* di sapere cosa vuol dire femminicidio e poi l’unica cosa che fanno è invocare a gran voce pene certe e severe, ché gli uomini che uccidono le donne sono mostri, vanno sbattuti in galera e va buttata via la chiave! Questa è la Soluzione.
La delega, l’affidare a terzi la nostra sopravvivenza. La nostra esistenza.
Affidarsi, sempre e comunque, a qualcuno che ci tuteli e che ci salvi. E non serve ripetere, e ripetere ancora, gridare se necessario, che non sarà una legge a salvarci la vita.
Che non è una legge che può fermare le umiliazioni, gli schiaffi, la fatica, la sensazione di disagio, le battute sessiste, l’assenza di aria pulita da respirare, di spazi liberi dove camminare, agire, costruire.
Non riesci a farglielo capire che il problema è altro, che il problema sta altrove.

In una cultura che ci relega al di fuori, nello specifico a margine del generale, nella nicchia a margine del quadro d’insieme.
A tutti i livelli, tutti, compresi i “movimenti” (ma dove si muoveranno e verso cosa dico io) pieni zeppi di compagni che devono lottare contro il capitalismo, e lo stato, e ogni tanto concedono il loro tempo, la loro lotta maschia, alla “questione femminile”.
Una cultura che ha stabilito i ruoli chiamando in causa la natura e vuole noi docili, impaurite, remissive, pazienti, amorevoli, pacificatrici di conflitti, prede felici di esserlo e che vuole gli uomini forti, indistruttibili, padri padroni, uomini di polso, che portano a casa lo stipendio, difendono la famiglia, predatori per natura.
Una cultura che come massima trasgressione gerarchica si pensa le quote rosa. Una cultura schizofrenica che spaccia le donne migliori degli uomini per partito preso. Le donne, in quanto donne, migliori degli uomini. E avanti così.
Una cultura che per farmi un complimento mi dice che faccio le cose bene come un uomo. Perché l’uomo è, linguisticamente, socialmente, culturalmente, concettualmente il metro di giudizio, il termine unico e ultimo di paragone.

Non riesci a farglielo capire che il problema sta nel potere. Agito da una parte, subito dall’altra. Che il problema sta in chi al potere non ci vuole rinunciare.

Che il problema sta negli strati di merda che ci avvolgono il corpo e la mente. Strati e strati di stracci marci in cui nasciamo e cresciamo e di cui dobbiamo liberarci.

0 Responses

  1. Antares1989, le aggressioni son ben altra cosa. Non scomodiamole. Né scomodiamo la fede e Dio.
    Se davvero sai di avere ragione, come scrivi, e se non ti interessa che le tue riflessioni possano risultare offensive, suscettibili di critica, perché mai evochi la possibilità di un discorso civile? A quest’ultimo sono pronto, se vuoi ascoltare una campana diversa e avere il coraggio di prendere anche qualche sberla (naturalmente figurata), come di darla. Non fremo dalla voglia, date le premesse di omofobia e razzismo (tra le altre derive), manco troppo velate, che emergono dalle tue parole, ma se può esserti utile mi fa sinceramente piacere. Per i monologhi mi basta invece il teatro.
    Di anni io ne ho 34, e per inciso mi firmo con nome e cognome.

      1. Non sei il primo che si vanta di mettere nome e cognome. Per inciso, mi firmo con un nickname perché la maggior parte degli utenti lo fa. Comunque, se ti interessa farmi gli auguri di Natale, mi chiamo Emanuele Bignardi, nato a Modena il 25-06-1989 e abito a Mirandola (MO).
        Detto questo, ti invito a informarti sull’aggressione subita dall’arcivescovo di Bruxelles durante un discorso all’Università Ulb da parte delle Femen, nonché delle aggressioni a Luca di Tolve ogniqualvolta tenta di parlare della sua conversione. Io so di aver ragione quando dico che l’aborto è un crimine, perché credo in Dio, ma rispetto chi la pensa diversamente. Mia madre è a favore dell’aborto, credi non la rispetti? Non rispetto, viceversa, i proprietari delle cliniche abortiste private che in America guadagnano milioni di dollari, sfruttando leggi barbare.
        Sarà che ho la ragazza ivoriana, ma non mi sembra di essere particolarmente razzista. Cosa te lo farebbe pensare? Quanto all’omofobia, dipende in che modo la interpreti: esiste l’omofobia di chi picchia e offende i gay e l’omofobia “allargata” per cui chiunque vada contro l’ideologia gay-friendly è omofobo. Compresi molti omosessuali, tipo quelli che si oppongono al matrimonio gay. Se la interpreti nella seconda accezione puoi considerarmi omofobo.
        Il fatto che io abbia convinzioni salde non significa che mi oppongo al confronto. Io lo cerco sempre, senza mai offendere e con il massimo rispetto. Il fatto che io porti lo scudo con la Croce non significa che non puoi provare ad assestare qualche “sberla”. Se vuoi provare a parlare ti ascolterò con attenzione e ti risponderò con garbo.

        1. E poi esiste l’omofobia di chi pensa che l’omosessualità sia una perversione, come dici tu sul tuo blog.

          Che sei arrivato qui dando per scontato che io sia una persona che non riflette, perché solo per mancata riflessione si ha difficoltà a capire che la maternità è meravigliosa.
          Che mi dici che è la cosa più bella del mondo senza averla mai provata (e ahimè, a meno che la scienza che citi ogni due per tre non faccia anche i miracoli, mai sperimenterai).
          Che sai di avere ragione. E quindi niente dialogo, niente confronto ma solo tu che dici delle cose e gli altri che o devono darti ragione o ne dicono altre, su due binari contrapposti.
          Perché se tu sai di avere ragione, perché se è della verità del (tuo) dio che parli, cosa dovrei confutare?
          Che non sai che rom e rumeni non sono la stessa cosa.
          Che mi dici che “il fatto che la donna sia predisposta all’allevamento dei figli è una cosa naturale, riconosciuta scientificamente” senza considerare che altrettanto scientificamente c’è chi afferma che non siamo tutte geneticamente dotate di senso materno e che sulle differenze naturali che si sovrappongono alle differenze di genere (sesso biologico e genere non sono la tessa cosa, è il sesso biologico ad essere naturale, il genere è una costruzione culturale) è in corso un dibattito molto articolato che coinvolge i campi dell’antropologia, della filosofia e della linguistica.

          Trovo che l’assenza del dubbio sia una cosa pericolosissima. Più del razzismo, più del sessismo, più dell’omofobia. L’assenza di dubbio è la madre del razzismo, del sessismo, dell’omofobia.

          E, te lo dico con tutto il garbo e tutta l’educazione di cui sono capace, non ho piacere di ospitare chi sa di avere ragione, chi si prende troppo sul serio e chi non si preoccupa di poter offendere qualcuno con le proprie parole.

          Il mondo è vasto, lì c’è posto per tutti, fortunatamente. Qui no.

          1. mia, non ti preoccupare, lasci il campo. E’ comodo, d’altra parte, chiudere in questo modo la bocca all’avversario, ma il blog è tuo. Inoltre, chiunque consideri il mio primo commento offensivo ha sicuramente rabbia repressa.
            Paolo, non so se te ne sei accorto, ma anche l’autrice del blog si firma con un nick. Non è indice di stupidità né di inciviltà. Mia preferisce che non scriva più, quindi lascio anche te. Discuti pure con qualcuno che la pensa come te, forse a me le tue “sberle” non arrivano. Ciao.

          2. No, Emanuele, l’autrice ha nome e cognome bene esposti, come del resto la biografia.
            Non ho mai parlato di stupidità e di inciviltà, a proposito dei nickname. Dove l’hai letto? Ho parlato di civismo, che è altra cosa.
            Se reputi un rabbioso represso chiunque ritenga offensive le tue parole, te lo chiedo retoricamente un’ultima volta, come puoi permetterti di parlare di dialogo, di discorso civile?
            Impara a metterti in discussione, Emanuele.
            Ciao anche a te

        2. Emanuele, mettere nome e cognome non è un vanto, ma una piccola, simbolica, forma di civismo.
          Continui a citare aggressioni, quando ancora non hai considerato la possibilità che proprio il tuo commento iniziale abbia leso e colpito per primo.
          Quando ci arrivi fai un fischio, magari ci andiamo a bere una birra.

  2. Su alcune cose sono perfettamente d’accordo con te: odio gli stupratori, specie di animali, e non sopporto la discriminazione di genere (considero “generi” solo maschio e femmina). Il tuo sfogo è comprensibile, anche se sarebbe stato corretto fare un appunto sulle Femen, che, dichiarandosi femministe, screditano tutte le donne.
    In realtà volevo parlare di aborto. Non considero la donna una macchina da riproduzione, e capisco che la gravidanza non sia uno scherzo. Ma se rifletti attentamente, il parto è la cosa più bella che esista. Credo che poche donne riescano a odiare il neonato che hanno appena partorito. Inutile dirti che ci sono migliaia di coppie desiderose di quel bambino, se tu non lo vuoi.
    Infine, il fatto che la donna sia predisposta all’allevamento dei figli è una cosa naturale, riconosciuta scientificamente. Il che, chiaramente, non significa che nella nostra società anche il padre debba avere il suo ruolo. E’ un suo diritto e un suo dovere.

    1. Antares1989, in che modo Femen screditerebbe tutte le donne? A quale credito fai riferimento? Il verbo da te scelto coinvolge termini quali “reputazione” e “stima”, e già in questo esiste una discriminazione di genere che pure dichiari subito di non sopportare. Difficilmente, se non mai, capita di leggere che una certa azione, o movimento, o gruppo, screditi di colpo tutti gli uomini. Così uno stupratore difficilmente getta ombre lunghe sull’intero genere maschile (sono in pochi a percepirla così), e invece un’attivista di Femen può arrivare, come dici, a screditare tutte le donne (siete in moltissimi a percepirla così). Valgono due metodi induttivi diversi, pesi e misure diversi, parole diverse. Discriminazione, appunto.
      Ti chiedo ancora, a quale credito fai riferimento, sempre che abbia senso parlarne? E qualunque esso sia, vale davvero la pena difendere un credito tanto vulnerabile e miope da non conciliarsi con la possibilità di un movimento di stampo dichiaratamente libertario, progressista, umanitario, pacifista, egalitario? O il problema per te, come temo, sta nei seni esposti?
      Quanto alle tue considerazioni sull’interruzione di gravidanza faccio fatica anche solo a capire da dove cominciare. Mi sconcerta, mi offende, l’ingenuità puerile di simili battute, trite e ritrite, residui di catechismi opuscolari più affini a una presunta propoganda che alla riflessione e al dibattito. Sono mai possibili tanta disinvoltura e inconsapevolezza, nel 2013, circa un’esperienza tanto complessa e angolata?

      1. Paolo, che Femen dia un’immagine sbagliata di tutte le donne non lo dico io, ma le donne stesse: credi che le suffragette che manifestavano per i diritti civili condividerebbero il modo di porsi delle Femen? Che non solo si denudano, ma offendono pesantemente anche la fede cristiana, imbrattando chiese, abbattendo croci e aggredendo fedeli. A Berlino per protestare contro la Barbie hanno incendiato un crocifisso. Lo stesso discorso vale per molte categorie: immigrati musulmani odiano i fondamentalisti, perché danno un’immagine sbagliata dell’Islam, gay non sopportano le oscenità del Gay Pride, perché da un’immagine sbagliata dei gay, rumeni odiano i rom, perché danno un’immagine sbagliata di tutti i rumeni. È così difficile da capire? Riguardo a Femen, forse ho sbagliato il termine: non avrei dovuto riferirmi a tutte le donne bensì a tutte le femministe. Credo che i modi di manifestare delle Femen siano oltraggiosi e irrispettosi, nonché violenti.
        Quanto all’aborto, è chiaro che tu non sappia da dove cominciare: è evidente che non hai argomenti. Io ho solo espresso un’opinione, adducendo le mie ragioni con la massima cortesia. Non mi interessa se le mie riflessioni ti offendono. Ho portato un punto di vista condiviso da moltissime donne, non da integralisti religiosi, e verità scientifiche. E tu, invece di confutarmi, mi hai aggredito: è la rabbia che nasce quando non si riesce a controbattere. Inoltre, la fede non ha età e non invecchia. Ho 24 anni e sono consapevole di quello che dico. So anche di avere ragione, perché è delle verità di Dio che parlo. Detto questo, se sei interessato a un discorso civile, io sono pronto.

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