Non bisognerebbe mai bere troppo Ouzo, ché poi qualcuno mette su un pezzo e ti ritrovi curva su un quadernetto a lasciar segni con la penna che poi la mattina dopo ci vuole un’ora a decifrarli.
3.09.2010
È come qualcuno che ti spinge, alle spalle, e ti costringe a voltarti, e tu resti per un attimo immobile.
Come una ventata improvvisa, chè le cose, quando non te le aspetti, anche se sono leggere, anche se sono belle, anche se sono piacevoli, ti arrivano addosso come una ventata. E ti scompigliano i capelli. Ti scaricano i ricordi.
Una canzone che proprio non mi aspettavo.
Una canzone che proprio non mi aspettavo.
Bam.
Di colpo.
Una scarica di ricordi. Non uno. Non un momento.
Una scarica.
Roba da non credere.
Una canzone. Quasi tutta una vita.
Torna. Tutto. Torna ogni momento. Ogni cazzo di momento. Movimenti e volti. Gesti. Frasi. Stati d’animo. Io. Noi. Loro. Noi.
Roba da rimanerci secchi.
L’odore. Odore di mura umide, e sugo al pomodoro fatto con troppa cipolla. Odore di legna, di fumo, di foglie secche.
E gli occhi. Neri, blu, verdi, marroni. Mani. Corpi. Teste.
Torna.
Tutto.
Gli zaini e gli scarponi, l’asfalto e le curve.
Quella sensazione di infinito.
No.
Quella sensazione di qui e ora.
Che non importa quanto.
Che non importa per quanto.
Il presente autosufficiente.
Il presente. Noi.
Il nero del bosco, e un lume. Tornano, compatti.
Gli scalini, le chiacchere e le tazze di caffè.
Le sigarette.
La luce calda, la cucina fredda. La madia. Il filone di pane da spalmarci sopra la maionese.
I maglioni pesanti e l’acqua gelida.
Noi. Io. Lì. Sempre.
Come fosse.
L’unica cosa necessaria.
Noi. Lì.