Sabato, al Critical book&wine a Tradate, ho visto l’anteprima di “Abecedario di Andrea Camilleri”. Un piccolo assaggio di quelle che sono 6 ore di intervista fatta al papà di Montalbano dal regista Eugenio Cappuccio, curata da Valentina Alferj e pubblicata in dvd più libro da quelli di Derive e Approdi.
Non ho ancora letto niente di Andrea Camilleri. So che il momento giusto arriverà. Attendo, e intanto mi lascio affascinare dalla sua narrazione orale.
Sabato ho capito cosa mi incanta così tanto. Oltre all’estrema confidenza con la parola e con il linguaggio tutto, sono i suoi occhi che mi rapiscono. Simili, similissimi, a quelli di un altro signore della scrittura. José Saramago.
Hanno gli occhi dei bambini questi due ottuagenari della parola scritta, della parola e basta. Camilleri, classe 1925. Saramago, classe 1922. Hanno occhi lucidi, veloci, puliti, pungenti. Gli occhi furbi dei bambini. Ed un entusiasmo che lascia storditi.
E mi domandavo, quella luce che hanno negli occhi, cos’è?
È l’età che dona quel particolare distacco che paradossalmente si trasforma in ironico entusiasmo o sono sempre stati così ed è quindi solo questione di indole?
Sono solo gli anni che passano e le esperienze che si accumulano o l’aver vissuto con la scrittura e per la scrittura ha influito su un risultato così splendido, su questi due volti, su questi occhi che sembrano ancora cercare, e cercare ancora? Su questi sguardi furbi come solo quelli dei bambini sanno essere?
Saramago e Camilleri incarnano quel concetto astratto che è la saggezza, in cui soddisfatti i desideri, archiviate le illusioni e svelato il mistero resta solo della sana ironia e la voglia di giocare con chi il mistero ancora non lo ha risolto?
Io ho 31 anni e quella luce negli occhi non ce l’ho.
La passione per quello che faccio sì.
Per la parola, per la scrittura, per la letteratura. Ce l’ho. Ma è impastata con la rabbia. Lo so, è così. Non me ne libero che a tratti, sporadicamente. Spesso la controllo, la uso e la trasformo. Ma comunque mi oscura, mi distrae.
In loro l’incazzatura è traslata, presente solo nel momento del bisogno, relegata nel giusto, e utile, spazio che le compete, scavalcata dalla passione, scavalcata da quegli sguardi ironici ed entusiasti, che prendono il sopravvento, comandano il gioco, segnano la direzione.
Ci metterei la firma.