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Categoria: (non) recensioni di libri

Insomma, scrivo solo le (non) recensioni di libri che sono entrati, in un modo o nell’altro, ogni volta diverso, nella mia Biblioteca di Babele.

Una frase, un passaggio. Un’epifania. Il riconoscersi nel dipanarsi della trama. L’idea. Il linguaggio. Una particolare forma, una particolare struttura. La capacità di contenere tutto il possibile. Un certo senso di urgenza. La complessità che scivola fluida.

Scrivo le (non) recensioni di libri che hanno lasciato cadere qualcosa, non importa se grande o piccolo, questo qualcosa, l’importante è che è caduto, e si sedimentato.


A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale 
contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un tempo, parve misteriosa.

La Biblioteca di Babele, Jorge Luis Borges

Sono fame di Natalia Guerrieri
(non) recensioni di libri

Sono fame di Natalia Guerrieri – (non) recensione

Sono fame di Natalia Guerrieri è un libro appiccicoso, intriso di sudore, e un velo di polvere. E una rondine che sulla sua bicicletta scarta le macchine, gli sguardi, il livore, la noia, l’abbandono, l’immondizia di una Capitale che è tutte le capitali di cemento, solitudine e alienazione.

pelleossa di veronica galletta
(non) recensioni di libri

Pelleossa di Veronica Galletta – (non) recensione

Pelleossa di Veronica Galletta è come un mosaico, piccole tessere colorate che solo quando hai messo giù l’ultima ti puoi allontanare e vedere, e capire, il disegno che si è formato durante la lettura.

Ultramarino di Mariette Navarro
(non) recensioni di libri

Ultramarino di Mariette Navarro – (non) recensione

Ultramarino di Mariette Navarro è narrazione in purezza. Narrazione intesa come l’atto del narrare, di rappresentare con la parola scritta, o altri strumenti, storie, situazioni reali o fantastiche.

la storia di elsa morante
(non) recensioni di libri

La Storia di Elsa Morante – (non) recensione

È una mano che allarga la ferita aperta e mostra la carne viva, sangue, muscoli, tendini. E manifesta l’illusione perpetua delle rivoluzioni. È la descrizione del potere che alimenta, difende e replica se stesso.

sistema nervoso 3
(non) recensioni di libri

Sistema nervoso – Lina Meruane – (non) recensione

Sistema nervoso è un romanzo denso. Nessun passaggio neutro, né paragrafi di sosta o raccordi di sospensione. Nessuna descrizione o digressione su cui soffermarsi a decomprimere la lettura, per prendere fiato.

senza titolo di viaggio
(non) recensioni di libri

Senza titolo di viaggio – Filo Sottile – (non) recensione

Ho sempre guardato all’urgenza come ad un elemento necessario, imprescindibile per la scrittura. Per la buona scrittura. Quella di Filo Sottile, di urgenza, percorre tutta la totalità del suo testo, a volte come un sottofondo quasi irriconoscibile, a volte come una scarica.

Scopami Virginie Despentes
(non) recensioni di libri

Scopami – Virginie Despentes – (non) recensione

Scopami è un romanzo che parla dal margine, quel margine che può essere abitato, decostruito e trasformato in terreno di lotta o che ti sovrasta, ti definisce, ti maciulla e ti marchia con solchi profondi.

sporco weekend
(non) recensioni di libri

Sporco weekend – Helen Zahavi – (non recensione)

La scrittura è netta, minimale, solo apparentemente semplice e lineare. Il gioco di ripetizioni all’interno del testo segna l’incedere della trama così come l’incedere della protagonista, un pensiero dopo l’altro, un’azione dopo l’altra.

Daša Drndić
(non) recensioni di libri

Trieste. Un romanzo documentario – Daša Drndić – (non) recensione

Io non sono sicura che si possa parlare, scrivere, di questo libro. Questo libro che è romanzo, questo libro che è un documentario. Questo libro monumentale. Daša Drndić ha un controllo della parola e del materiale narrativo che mette in soggezione. Daša Drndić accumula, uno dopo l’altro, i pezzi di un puzzle, li accumula, li ordina, li sparpaglia, li unisce, i pezzi di un puzzle. Il puzzle. Ma senza cornice, perché la Storia non vuole cornici. La Storia preferisce rimanere aperta, perché può essere continuamente aggiornata e moltiplicata. Daša Drndić, nella traduzione di Ljiljana Avirović, avanza, una pagina dopo l’altra. Nessuna tregua, nessuna sosta. Non c’è spazio bianco, non c’è sospensione. Non c’è parola che possa essere spazio bianco neutro per sospendere la lettura o i pensieri. Tanti pensieri. Che non confluiscono nel pianto nato dalle corde della commozione. Non gioca con quelle corde, Daša Drndić. I pensieri si sommano, si accalcano, un nome dopo l’altro, un luogo dopo l’altro, un’informazione dopo l’altra, nessuno si salva davvero, il puzzle si compone, un pezzo dopo l’altro e i pensieri si ordinano compatti intorno alla rabbia, al rancore, allo sgomento davanti all’osceno, di fronte alla totalità del male, nessuna banalità, nessuno si salva davvero ed è raro, in ogni caso, che la guerra lasci qualcuno ai margini”. Trieste, Görz Gorizia Gorica. I ricordi, la storia di una famiglia, di tante famiglie. La finzione che si innesta sulla Storia. L’Isonzo, l’archivio liquido della storia. Triblinka, le trincee, i vagoni piombati, il processo di Norimberga. La Svizzera neutrale e la Croce Rossa. D’altra parte ognuno si para il culo per quanto può, compresa la Croce Rossa internazionale. Compresa la Chiesa, in particolare quella cattolica. Kurt Franz, Ja, Tedeschi. Ein jüdischer Name. Il processo del 1976 per i crimini nella Risiera di San Sabba. Bad Arolsen, la biblioteca dell’orrore. I figlie e le figlie del progetto Lebensborn. Come i figli e le figlie dell’Auxilio Social, Spagna 1939.E una donna seduta di fronte ad una finestra che svelle gli arbusti dei propri ricordi, senza sapere se sono sprofondati nel terreno della memoria oppure se si muovono smarriti, disorientati in un presente rimosso.Nessuno si salva davvero. Le serate danzanti, il valzer. Il cinematografo. Oh happy days. Il passato, che torna. Una cesta rossa piena di foto, ritagli di giornale, locandine. Nomi. Luoghi. La ricostruzione dei fatti. Della storia. Della Storia. Del puzzle. Il puzzle. Com’è che non sono mai riuscita a vedere? Un romanzo che è documentario, ricostruzione, archivio in cui Daša Drndić non tocca, quindi, le corde della commozione ma quelle dell’accusa e della responsabilità. Per i più, per gli ubbidienti e i taciturni, per coloro che se ne stanno in disparte, per i bystander, la vita comincia a diventare una piccola valigia che non viene mai aperta, un leggero bagaglio ficcato sotto il letto, una borsa destinata a nessun luogo, nella quale tutto è ordinatamente riposto – giorni, lacrime, morti e piccole gioie – e da cui si sprigiona un odore di muffa. Chi se ne rimane in disparte non sai mai cosa pensa, per chi fa il tifo, visto che se ne sta sempli­cemente lì e osserva cosa gli accade intorno, come se nulla in realtà accadesse. Si adatta alle regole e alle leggi di chiunque, cosa che, una volta terminate le guerre, può sempre tornare a suo favore. E i bystander sono molti, la maggioranza.Osservatori ciechi, gente “semplice” che gioca solo le carte sicure, sono i cosiddetti “sichere Menschen”. Intendono vivere i propri giorni senza essere disturbati. In guerra e fuori dalla guerra, questi osservatori ciechi girano la testa dall’altra parte, mostrano indifferenza e si rifiutano di compatire chicchessia; la loro autodifesa è uno scudo coriaceo, una corazza all’interno della quale si trastullano, gioiosi, come delle larve.Sono dappertutto. Nei governi neutrali degli Stati neutrali, tra gli Alleati, nei Paesi occupati, tra la maggioranza, tra la mino­ranza, tra di noi. I bystander siamo noi.Per sessant’anni questi osservatori ciechi si battono il petto dicendo, anzi gridando, siamo innocenti, perché non sapevamo, e con l’arrivo di nuove guerre e nuovi guai, fanno il loro ingresso nuovi osservatori, nascono nuovi eserciti di giovani e robusti bystander dagli occhi bendati, che si nutrono dell’innocenza dell’osservatore, di un’inossidabile compatibilità. Sono gli adattati, coloro che assecondano il male. Nessuna banalità. Grazie ad acqueagitate che mi ha portato da questo libro, qui. Daša DrndićTrieste. Un romanzo documentario trad. Liliana Avirovićpp. 444Bompiani, Milano 2015 Una citazione, qui

(non) recensioni di libri

La vita bugiarda degli adulti – Elena Ferrante – (non) recensione

La vita bugiarda degli adulti. La banalità della vita bugiarda degli adulti, ho pensato leggendo il nuovo libro di Elena Ferrante.L’umana banalità, sarebbe meglio dire. La vita bugiarda degli adulti osservata e smascherata dallo sguardo implacabile dell’adolescenza. Dallo sguardo implacabile di una adolescente. Dalla scrittura sgradevole e ipnotica di Elena Ferrante. Crescere, e trovare il proprio spazio tra gli affetti e il proprio posto nel mondo. Quel mondo che dalla strada sotto casa si allarga e si allarga. All’infinito.Crescere. Ma assomigliando a chi? Desiderando cosa? Aspirando a cosa?Con il corpo nascosto, il corpo esposto. Scoperto nella dolcezza, nella maleducazione, nella fretta, nella tenerezza.Il corpo riflesso. Nello specchio, nei corpi delle altre. Nei corpi degli altri.Nelle parole, degli altri. Nel giudizio. Anche questo implacabile. Nella frattura, spesso scomposta, di un passaggio obbligato. La formazione del sé, la definizione dei propri desideri. La scrittura della propria mappa emozionale.Nella frattura, dolorosa, provocata dalla caduta di fronte a quello che è stato taciuto, nascosto, travisato, allontanato. Mascherato.Nel rifiuto e nell’allontanamento. Nello smarrimento, nella rabbia. Nel cratere, nell’abisso. Forse si spezzò in quel momento qualcosa in qualche parte del mio corpo, forse dovrei collocare lì la fine dell’infanzia. Nella delusione, implacabile. Totale e totalizzante. Per questi adulti e per le loro menzogne, per le loro debolezze camuffate, per quelle vite che si sgretolano e si svelano. Per questi corpi che si piegano e questi sguardi che si perdono, arroganti e codardi, deboli e spaventati. E per le parole misurate, inconcludenti. Violente. Parole confuse.Bugiarde. Cosa succedeva, insomma, nel mondo degli adulti, nella testa di persone ragionevolissime, nei loro corpi carichi di sapere? Cosa li riduceva ad animali tra i più inaffidabili, peggio dei rettili? La vita bugiarda degli adultiElena Ferranteedizioni e/opp. 336   Sempre su Elena Ferrante, per tutte le sue smarginature.L’amica geniale (non) recensioneStoria della bambina perduta (cit.)Storia di chi fugge e di chi resta (cit.)Storia del nuovo cognome (cit.)L’amica geniale (cit.)

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