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sestanti

Christa Wolf [cit. da Cassandra]

Ecco dove accadde. Lei è stata qui. Questi leoni di pietra, ora senza testa, l’hanno fissata. Questa fortezza, una volta inespugnabile, cumulo di pietre ora, fu l’ultima cosa che vide. Un nemico da tempo dimenticato e i secoli, sole, pioggia, vento, l’hanno spianata. Immutato il cielo, un blocco d’azzurro intenso, alto, distante. Vicine, oggi come ieri, le mura ciclopiche che orientano il cammino: verso la porta dal cui fondo non fiotta più sangue. Nelle tenebre. Nel macello. E sola. Con questo racconto vado nella morte. Termino qui, impotente, e niente, niente di quello che avrei potuto fare o non fare, volere o pensare, mi avrebbe condotto a una meta diversa. Più profondamente di ogni altro moto dell’animo, più profondamente persino della mia paura, mi impregna, mi corrode, mi avvelena l’indifferenza dei celesti verso noi terreni. Naufragata l’audace impresa di opporre il nostro debole calore alla loro gelidità. Invano – lo so da tempo – tentiamo di sottrarci alle loro violenze. Christa Wolf, Cassandra

appunti di scrittura, stato d’animo random #1

È una morsa che stringe e strozza. Gola polmoni stomaco. Il tempo ride di me, della mia inadeguatezza, della mia vigliaccheria. Delle scuse che trovo e a cui credo. Il tempo gioca a calcio con la mia testa, lui la lancia contro i muri, lei rimbalza sull’asfalto. Il tempo ride di me, dello spreco, della frenesia inconcludente, della disorganizzazione, della frustrazione oscena e colpevole. Dei gesti che non seguono mai le parole. Delle cose che avrei dovuto fare e non ho fatto. Parole sprecate, fogli mangiucchiati, penne a cui ho lasciate seccare l’inchiostro. Cose dimenticate. È una morsa, che stringe e che strozza. La gola, i polmoni, lo stomaco. E si mangia quel poco di sano che mi resta. E il tempo ride di me, di questo vuoto a perdere. Al puzzle manca un pezzo, e quel pezzo se l’è mangiato il gatto. Niente è stato sistemato, e il disordine occupa tutto lo spazio disponibile. E tutto il tempo passato, presente e futuro. Le dita picchiettano, e spingono, e pigiano. I tasti fanno tic tic, questo so farlo. So mettere insieme una parola dopo l’altra. Ma non saprò mai qual’è l’ordine giusto. Sono l’unica responsabile di questo disordine. Il tempo non è il mio tempo, non comando io. Le cose accadono, con o senza di me. Ma non accadono a me. Accadono sempre di lato. Accadono a chi si muove veloce. Non è vero che basta aspettarla, una cosa, per farla accadere.  Il tempo lo sa e ride di me. Dei miei sorrisi sguaiati, dei miei gesti improvvisi. Dei miei slanci. Del mio credere. Io che non credo eppure ci credevo. A qualcosa che adesso non ricordo neanche più devo aver creduto, e molto anche. Qualcosa che mi ha spinto fino a qua. Qualcosa che mi fa essere qui, adesso, così. Qualcosa che non ricordo più, il tempo sa anche questo e anche per questo ride di me. Ride della mia guerra, delle barricate e delle zone liberate. Ride delle mie voglie e dei miei desideri. In una morsa che stringe e strozza la gola, i polmoni, lo stomaco. [queste parole sono collegate in qualche modo a queste, non so esattamente in che modo, non so esattamente dove stanno andando e se stanno andando ma tant’è]

un racconto
notes

qualcosa stride

Qualcosa stride. In un punto imprecisato, qualcosa. Un ingranaggio fuori posto. Un tassello che s’è messo di sbieco. Nel quotidiano impegno che metto nel tenere in ordine gli eventi, le parole dette e quelle sentite. E un posto anche per quelle pensate. Qualcosa stride. E vanifica gli sforzi. Inquina il desiderio. Anche il più piccolo, anche il più semplice da raggiungere. La frenesia, allora, dei gesti che girano a vuoto, e quella sensazione, inopportuna, a fine giornata, d’aver girato a vuoto insieme ai gesti. Manca qualcosa. O c’è qualcosa di troppo. E quella cosa che stride. E il tempo, nel modo più banale possibile, scappa. E tenere fuori ciò che mi ferisce. Tenere fuori ciò che mi distrae. Tenere fuori ciò che riconosco come nocivo. Preservarmi e difendermi è solo un agitar le braccia e le gambe, sul posto. Sudata e stanca senza aver fatto un passo. Né avanti, né indietro. Né tanto meno, e sarebbe già abbastanza, di lato. Fuori fuoco. Fuori asse. C’è qualcosa di troppo. C’è qualcuno, di troppo. Scendete tutti dal mio fungo.

Frammento.b

Il tempo. Scivola via. L’inerzia, la noia. Il silenzio e l’aria che entra e esce dal naso. Lentamente. Immobile, il tempo che scivola via. Momenti. Gli occhi fissi e le dita che giocano con una ciocca di capelli. Contrasti. Digressioni inutili. Mentre il tempo scivola via. Nessun pensiero è quello giusto. Nessun pensiero attecchisce, né germoglia. Niente. Cambia la luce che entra dalla finestra, la terra gira intorno al sole. Cambiano le ombre e le inclinazioni. Immobile. Mutano le sfumature. Muscoli indolenziti. Impeti. Scatti improvvisi messi a tacere. Superfici. Oggetti. Polvere. Sonno. Articolazioni indolenzite. Frenesia non veicolata. Il tempo, scivola via. Una boccata d’aria, l’apnea. Guance che si gonfiano. Sbuffi di frenetica noia. Voli pindarici rattrappiti. Non esce. Non esce niente. Sapore amaro in bocca, di nicotina stantia. Testa offuscata, molle. Ginocchia al petto, posizioni improbabili. Rimandi. Attese. Dicotomie. Il tempo. Scivola via. Giornate intere. Un attimo dopo l’altro. Papille gustative inceppate, vista offuscata. Il tempo, scivola via. Lunga attesa.  Arriverà, un giorno. Arriverà il giorno. Gabbia chiusa dall’interno. Soliloqui. Silenzi. Movimenti circolari, si torna sempre al punto di partenza. Tutto prevedibile. Ecco.

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