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Tag: amore

questa cosa piccola, piccolissima

e poi arriva questa cosa piccola, piccolissima, che ti sta tutta in una mano, e questa cosa piccola, piccolissima, che ti sta tutta in una mano, ti colpisce dritta al petto, spacca il muro che hai tirato su, e ti dice che sei ancora capace di amare, che sei ancora capace di prenderti cura di qualcuno, di qualcosa, anche se fa paura, anche se avevi giurato di non farlo più, ti dice che i sentimenti non si sono seccati e sbriciolati, e volati via, e pensavi di non ritrovarli più, questa cosa piccola, piccolissima, che ti sta tutta in una mano, che va scaldata, cibata, accarezzata e che ti dice che sai ancora tenderla, la mano, che sei ancora capace di piangere, e di ridere, questa cosa piccola, piccolissima, che è rimasta piccola, piccolissima, ti restituisce cose grandi, grandissime, dormendoti sul petto, cose grandi, grandissime ciao Berto, il mio barone di Münchausen e grazie

sestanti

Il padrone della festa Live – Fabi, Silvestri, Gazzè

poche, pochissime parole ultimamente, ma tanta musica questa in particolare e in fondo, di parole, tante comunque molto belle alzo le mani Nel mezzo c’è tutto il resto e tutto il resto è giorno dopo giorno e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire e costruire è sapere e potere rinunciare alla perfezione [Costruire – Niccolò Fabi] Ma tu dormi ancora un po’ non svegliarti ancora no ho paura di sfiorarti e rovinare tutto no, tu dormi ancora un po’ ancora non so guardarti anch’io nel modo giusto nei tuoi occhi innocenti disarmanti devastanti quei tuoi occhi che ho davanti tienili chiusi ancora pochi istanti [Occhi da orientale – Daniele Silvestri] E tu sarai il pretesto per approfondire un piccolo problema personale di filosofia su come trarre giovamento dal non piacere agli altri come in fondo ci si aspetta che sia [Cara Valentina – Max Gazzè] L’amore se poi esiste è quest’idea di attaccamento che ha l’uomo del mio tempo per le tante storie viste non esiste fare i conti accontentarsi piano piano di una vita mano nella mano l’amore non esiste è un ingorgo della mente di domande mal riposte e di risposte non convinte vuoi tu prendere per sposo questa libera creatura finché Dio l’avrà deciso o solamente finché dura? Ma esistiamo io e te e la nostra ribellione alla statistica un abbraccio per proteggerci dal vento l’illusione di competere col tempo e non c’è letteratura che ci sappia raccontare i numeri da soli non riescono a spiegare l’amore non esiste, esistiamo io e te [L’amore non esiste – Fabi, Gazzè, Silvestri]

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L’amica geniale (quattro volumi) – Elena Ferrante – (non) recensione

Per scrivere dei quattro volumi de “L’amica geniale” di Elena Ferrante devo chiudere gli occhi, per afferrare tutto, e trattenere il fiato, per fermare le immagini, le sensazioni. Le parole. Occhi chiusi e fiato sospeso per tenere insieme la scrittura, i personaggi, la trama, le trame. Le storie. Ma tutto si mescola. Si smargina. Solo un sentire emerge e resta a galla. Il senso di appartenenza. Ma non sono questi quattro libri ad appartenermi. Sono io che appartengo a loro. E credo sia la prima volta che mi capita. Appartengo alla scrittura della Ferrante, netta e poetica, onesta, viva. Dura e delicata. Appartengo Lila e Lenù, imperfette e reali, che la narrazione mi porge vive nella loro ricerca di un posto nel mondo, nei mondi. Nel micro e nel macro, nel personale e nel politico. Appartengo alla rabbia e alla disperazione, al tagliarsi e poi ricucirsi, allo sfarsi e poi ricomporsi. Appartengo a quell’affetto profondo e a quel senso di famiglia al di là della famiglia. Ai corpi esplorati, rifiutati, cercati, odiati e amati. Appartengo allo spogliarsi e al rivestirsi. Appartengo agli amori sfibranti. A quel senso di sé sfuggevole, mutevole, in balia di dubbi e paure. Come il sali scendi della marea. Appartengo all’infanzia che resta nei gesti, nelle parole e nelle scelte. Nel bene e nel male. Appartengo al percorso di liberazione dall’approvazione dello sguardo altrui. Al desiderio incessante di dare un senso alle cose attraverso la scrittura. Alla volontà di esserci, alla paura di essere. Appartengo alla cattiveria, ai sentimenti sporchi e al tentativo di nasconderli. Appartengo alla realtà narrata nel suo fluire, senza argini, senza sconti, senza abbellimenti. Appartengo alle bugie dette per sopravvivere, alle verità urlate per non soccombere. Al perdersi e ritrovarsi. Ad occhi chiusi, con il fiato sospeso. Elena Ferrante L’amica geniale 2011 e/o p. 400 Elena Ferrante Storia del nuovo cognome, l’amica geniale volume secondo 2012 e/o p. 480 Elena Ferrante Storia di chi fugge e di chi resta, l’amica geniale volume terzo 2013 e/o p. 382 Elena Ferrante Storia della bambina perduta, l’amica geniale quarto e ultimo volume 2014 e/o p. 451

Elena Ferrante [cit. da Storia della bambina perduta]

Al solito mi bastava una mezza frase di Lila e il mio cervello ne riconosceva l’aura, si attivava, liberava intelligenza. Ormai lo sapevo che riuscivo a fare bene soprattutto quando lei, anche solo con poche parole sconnesse, garantiva alla parte più insicura di me che ero nel giusto. Trovai una sistemazione compatta ed elegante al suo brontolio digressivo. Scrissi della mia anca, di mia madre. Adesso che avevo intorno a me sempre più consenso, ammettevo senza disagio che parlare con lei mi suscitava idee, mi spingeva a stabilire nessi tra cose distanti. In quegli anni di vicinato, io al piano di sopra, lei a quello di sotto, era successo spesso. Bastava una spinta lieve e la testa che pareva vuota si scopriva piena e vivacissima. Le attribuivo una sorta di vista lunga, gliel’avrei attribuita per tutta la vita, e non ci trovavo niente di male. Elena Ferrante – Storia della bambina perduta [L’amica geniale – quarto e ultimo volume]

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Passaparola. A murder mystery – Simon Lane – (non) recensione

“Ma purtroppo la verità, come la luce, la senti tua in modo speciale quando sei l’unico a vederla, né ti immagini che gli altri riescano a percepirla come te, ammesso e non concesso che la vedano. Ognuno guarda il mondo con i propri occhi, e questo include la verità, che lo si voglia o meno, vale a dire che se anche tutti fossero onestissimi, cosa che non sono, persino allora la verità continuerebbe a essere una faccenda personale, un po’ come l’amore o la scelta di mangiare a colazione il croissant o il pain au chocolat, oppure uova e bacon se sei mister Penfold.” Passaparola è Felipe. Felipe che ad un registratore racconta come sono andate le cose, dall’inizio. Perché è questo che gli ha chiesto il suo avvocato. E Felipe racconta. Racconta i fatti, racconta se stesso. E l’amore e la solitudine. Racconta le persone dal suo personalissimo, invisibile, punto di vista. Racconta della luce che ogni giorno si posa sul pavimento, delle stanze che devono essere pulite e delle persone che non possono essere pulite fino in fondo. Felipe racconta di quel giorno lunghissimo, il giorno più lungo dell’anno. Racconta l’arte, i film e i libri. Racconta la scrittura e anche uno scrittore. Felipe racconta il genere umano nelle sue più semplici ma reali sfumature. Felipe racconta i fatti, dall’inizio, perché è quello che gli ha chiesto l’avvocato. Perché se non è stato lui ad uccidere monsieur Charles bisogna provare a capire chi è stato. Felipe è uno  di quei personaggi di carta che vorresti incontrare per poterci parlare, con la sua leggerezza, la sua fragilità e la sua filosofia. E Passaparola è un libro da cui si dovrebbe e potrebbe fare un film. Per le strade di Parigi. O adattarlo per il teatro. Un lungo monologo pieno di poesia, in scena un uomo e un grosso bidone per la raccolta differenziata. Non conoscevo questo libro, “Passaparola. A Murder Mystery”. E nemmeno il suo autore, Simon Lane. Ringrazio la 8libriedizioni per avermelo segnalato. Passaparola. A murder mystery Simon Lane Ottolibriedizioni pp. 192 traduzione di Cristina Ingiardi copertina di Stefania Morgante

Virginia Woolf [cit. da La Crociera]

«Spesso ho camminato lungo strade dove la gente vive in fila, e le case sono tutte uguali, e mi sono chiesto che diamine facessero le donne lì dentro», disse. «Ci pensi un attimo: siamo all’inizio del ventesimo secolo, e fino a qualche anno fa le donne non erano mai uscite da sole e non parlavano mai. Per migliaia e migliaia di anni questa curiosa vita di silenzio si è svolta sullo sfondo, senza che la vedessimo mai rappresentata. È ovvio che scriviamo sempre di donne: per insultarle, per deriderle, o per adorarle; ma mai che siano le donne stesse a scrivere. Io credo che ancora non sappiamo come vivono o che cosa pensano, o che cosa fanno con esattezza. Se si è uomini, le uniche confidenze che riceviamo dalle signorine riguardano le loro storie d’amore. Ma la storia delle donne di quarant’anni, delle donne che non si sono sposate, delle donne che lavorano, delle donne che hanno un negozio e tirano su i propri figli, delle donne come le sue zie o la signora Thornbury o la signorina Allan… non si sa niente di loro. Non ve lo diranno mai. Forse hanno paura, o forse hanno un modo tutto loro di trattare gli uomini. È sempre il punto di vista degli uomini che viene rappresentato. Penso ai treni: quindici vagoni per gli uomini che vogliono fumare. Non le fa ribollire il sangue? Se fossi una donna, farei saltare le cervella a qualcuno. Non ride di noi? Non pensa che sia tutta una gran montatura? Lei… insomma che effetto le fa tutto questo?» Virginia Woolf,  La Crociera (1915) altro sulla signora Woolf Buon compleanno La signora nello specchio Phyllis e Rosamund Possiedo la mia anima Tra un atto e l’altro

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Racconti erotici per ragazze sole o male accompagnate – Slavina – una (non) recensione (de panza)

corpo cuore mani saliva occhi anima dita amore lingua respiri passione pelle calore paura capelli amicizia labbra ironia istinto liquidi curiosità collo consapevolezza scoperta forza bocca pulsazioni tenerezza Questo mi viene in mente su chiudo gli occhi e penso a “Racconti erotici per ragazze sole o male accompagnate”. Scrive Slavina, l’autrice, in Ringraziamenti e precisazioni Non era mia intenzione scrivere un’autobiografia porno quanto piuttosto rielaborare una serie di esperienze che segnassero un cammino di crescita e di acquisizione di consapevolezza su piacere e sentimento. E nonostante non sia sola, o forse perché sono stata in più di un paio di occasioni male accompagnata, o magari perché Slavina scrive davvero bene, sono piacevolmente scivolata nel cammino di Selma lungo 16 istantanee, 16 momenti, 16 racconti. Non lo nego, arrossendo su più di una pagina. Ho riconosciuto (quasi) tutto. Il senso della scoperta, quel fremito che non si sa bene da dove arrivasse né dove volesse andare. Il sentirsi disarmata, nuda nell’anima e in qualche modo malato, pura. Il definire (costruire) la (propria) femminilità. La ricerca. La difesa (di sé e di chi abbiamo scelto, che ci ha scelto, come famiglia). Il sesso (mai) per caso. Il desiderio. La voce del corpo che parla, incita, guida, decide. E la volontà di restare libera, la consapevolezza di dover (voler) essere parte attiva e sperimentatrice rifuggendo (ridefinendo) ciò che è norma(le). Con o senza le virgolette fate voi. E non si tratta (solo) di sesso. E (forse) ha ragione Slavina, nei tempi dell’inganno universale, fare l’amore è un atto rivoluzionario. Racconti erotici per ragazze sole o male accompagnate Slavina Giulio Perrone Editore pp. 110 Registrato sotto Licenza CC

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Se fossi fuoco, arderei Firenze – Vanni Santoni – pensieri sparsi – (non) recensione

Mi sono tuffata in “Se fossi fuoco, arderei Firenze” e ne sono riemersa con un sorriso. Vanni Santoni s’è messo una telecamera in spalla e m’ha detto ‘Oh giù, ‘ndiamo’. E seguendo ora questo personaggio, ora quest’altro, ora quest’altro ancora e così via, una storia per ogni personaggio, uno squarcio breve per ognuno, ogni personaggio collegato in un modo o nell’altro agli altri, ché si sa Firenze gl’é un buco e ci si conosce tutti, m’ha portato in giro per la mia Firenze. E non mi son lasciata convincere facilmente. Perché Firenze, appunto, è la mia Firenze. Non ci vivo più da nove anni, e chissà quando chissà come c’ho litigato. C’ho litigato perché s’è trasformata e non la riconosco più. Ci sono nata e cresciuta e lei adesso mi respinge, quando la guardo e provo a ricucire lei mi dice ‘non sono più la Firenze di quando ci siamo conosciute’. E allora l’amo, certo che l’amo, ma come s’ama l’idea di qualcuno che non è più come quando ci si abbracciava, ci si guardava e ci si diceva non ci lasceremo mai. La guardo e non la riconosco, ché c’hanno portato via tutto, un pezzettino alla volta. E di mettermi in posa nella cartolina tridimensionale luccicante per turisti di voglia ce n’ho poca. Ma tanto ha fatto tanto ha voluto, Vanni Santoni, che m’ha convinto a seguirlo, a seguire i suoi personaggi, a seguire le sue storie, con sullo sfondo e in primo piano la città. E un pezzettino alla volta me l’ha restituita. Un pezzettino alla volta, un personaggio alla volta, una storia, una strada, una piazza alla volta, un angolo che chissà come avevo dimenticato e invece eccolo, ben impresso nella memoria. E l’ha risvegliata, la memoria addormentata, e mi sono ricordata che sono comunque figlia di quei palazzi, e pietre e statue e ponti. E i pub, le case occupate e i centri sociali. I giardini e i vicoli. I vinaini e i trippai. Una pagina alla volta mi sono ripresa Santa Croce, via Torta e Borgo Pinti. Mi sono rimessa in tasca gli Uffizi, Ponte Vecchio e Ponte Santa Trinita. Santo Spirito e Piazza del Carmine. San Niccolò e il Piazzale Michelangelo. E tutti gli angoli nascosti, quant’è vero che spesso e volentieri s’allunga la strada pur di passare in un luogo preciso, quello e nessun altro. M’ha accompagnato e m’ha parlato in una lingua bella, una lingua che riconosco. Parole risciacquate in Arno. Parole familiari. E io mi sono ripresa tutti i passi che ho fatto, e le albe rosa rarefatte e silenziose in cui m’immergevo di ritorno da chissà dove, ma sicuramente con un po’ d’alcol da smaltire. Con quell’eterna voglia d’andare e di restare. E con Firenze mi sa che la pace non ce la farò mai. Però mi son ripresa quello che era mio. E tanto basta, finché dura. Se fossi fuoco, arderei Firenze Vanni Santoni pp. 158 Laterza 2011

L'arte della gioia - Goliarda Sapienza - (non) recensione
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L’arte della gioia – Goliarda Sapienza – (non) recensione

L’arte della gioia – Goliarda Sapienza – (non) recensione L’arte della gioia è un libro che fa girare la testa, che lo leggi e ad ogni pausa tiri il fiato, frastornata. L’arte della gioia è un libro che bisogna leggere, ché se non lo fai ti manca un pezzo, perdi qualcosa di importante. È un torrente di parole che travolge, e ti trascina, e sei dentro al libro come sempre dovrebbe succedere. E sei con i personaggi, tutti, e vorresti conoscerli, parlarci, viverci. Sei con Modesta. Modesta che ha fame di Vita, di Parole, di Gioia, di Amore e di Libertà, e non china la testa, mastica i giorni e gli anni senza posa, cerca, trova, scarnifica gli eventi, costruisce per sé e per gli altri quello che la sua mente desidera. Applica la coerenza al pensiero che si fa azione. Scava Modesta, dentro di sé, dentro gli altri e dentro la Storia. E finisci per scavare anche tu che leggi, negli stessi posti. E di più. Modesta che si libera, spezzando una catena dopo l’altra, frantumandole alla radice. Modesta, che è nata nel 1900 ed è facile fare il conto dei suoi anni. Modesta che vive al ritmo di una musica nuova, caparbia, futuribile. Modesta. […] Ora poi che le scriveva le parole lì sul bianco della carta, nero su bianco, non le avrebbe perdute più, non le avrebbe dimenticate più. Erano sue, solo sue. Le aveva rubate, rubate a tutti quei libri per bocca di madre Leonora. […] Modesta. […] Impensatamente quell’emozione di odio – che loro dicevano peccato – mi diede una sferzata di gioia così forte che dovetti stringere i pugni e le labbra per non mettermi a cantare e a correre. […]: la odio, la odio, la odio, gridai dopo essermi assicurata che la porta fosse ben chiusa. La corazza di malinconia si staccava a pezzi dal mio corpo, il torace si allargava scosso dall’energia di quel sentimento. […] Modesta. […] Ma fissando me stessa vidi il mio futuro: presa in quel tranello, le gambe spezzate dalla trappola “d’essere qualcuno”.  Sfuggito il convento, la religiosità buttata dalla finestra rispuntava da qualche buco della mia stanza cavalcando il topo dell’estetica. […] Messaggio del mio profondo di secoli, m’avvertiva di stare in guardia da me stessa e correre al sole. Non avrei più ripreso quella ricerca di poesia finché non avessi avuto la prova da me stessa che era un gioco e solo un gioco […]. Modesta. […] Fra venti, trent’anni, non accusate l’uomo quando vi troverete a piangere nei pochi metri di una stanzetta con le mani mangiate dalla varechina. Non è l’uomo che vi ha tradite, ma queste donne ex schiave che hanno volutamente dimenticato la loro schiavitù e, rinnegandovi, si affiancano agli uomini nei veri poteri. […] Modesta. […] E state attenti perché di questo passo quando le donne si accorgeranno di come vuoi uomini di sinistra sorridete con sufficienza paternalistica ai loro discorsi, quando la tua Amalia si accorgerà di non essere ascoltata e di fare due lavori sfinendosi davanti ai fornelli e in laboratorio – perché non mi parli mai del lavoro di Amalia, eh? Perché devo sentire solo quanto è dolce, carina o gelosa? – quando si accorgeranno, la loro vendetta sarà tremenda, […] E una scrittura che non avevo letto mai. Capace di alternare prima e terza persona come non credevo si potesse fare, giocando con la prospettiva della narrazione, il guardare, il guardarsi, il lasciarsi guardare, entrare e uscire da sé, e di muoversi tra passato presente futuro con una fluidità che da al testo la forza dell’annullamento del qui e ora dando vita ad una narrazione elastica e totale che abbraccia il ricordo, il momento presente e il futuro possibile. Una scrittura libera, anarchica, che l’autrice è stata capace di seguire senza scivolare, senza smarririsi lavorando sul materiale narrarivo e sulla struttura che lo contiene, la sola e unica possibile per racchiudere la marea montante di personaggi, pensieri ed eventi, senza mai perdere di vista la narrazione. Un capolavoro. L’arte della gioia Goliarda Sapienza Einaudi p. 492 (e-book) 

Neve

– Sembra non voler finire mai. – Cosa? – Questo maledetto freddo. – Dici tutti gli anni la stessa cosa. – Non è vero. – Sì che è vero. Chiudo gli occhi, mi sforzo per non ridere. Li riapro. Fuori nevica, fuori dalla finestra che fissiamo entrambe inebetite e incredule. – Voglio dire, sarà mica normale la neve a fine marzo. – Strano, ma non impossibile. Chiudo gli occhi. Ha ragione lei. Questo inverno non vuole finire. – Hai freddo? – No. – Vuoi uscire a rotolarti nella neve? – Non saprei. – Vuoi un po’ di tè? – Meglio. Apro gli occhi mentre armeggia con il pentolino dell’acqua, la scatola del tè, le tazze. Il cielo bianco, l’aria bianca, la strada bianca. Il tempo si incrina, quando nevica. E le distanze temporali si annullano. – Potremmo provarci. – A fare che? – Ad essere felici. – E come? – Stando insieme. – Io e te? – Io e te. Anche quel giorno nevicava. Non come adesso però. Meno. E i fiocchi, i fiocchi erano più piccoli. E non era diventato tutto bianco così in fretta. Però faceva freddo, freddissimo, siamo entrate di corsa in quel pub. Chissà se esiste ancora. – A cosa pensi? – Al giorno in cui abbiamo deciso di stare insieme. – Che romanticona. – Non ti illudere. Ci pensavo solo perché anche all’ora nevicava. – Ah sì? – Sì, cinica che non sei altro. Lascio andare la finestra, volto le spalle alla neve e la guardo proprio mentre un ciuffo di capelli le scivola via da dietro l’orecchio. Bianco argento. – Quando ti deciderai ad andare dal parrucchiere? – Ancora con questa storia? – Ancora con questa storia. – Mia adorata, ho fatto a meno del parrucchiere per 80 anni. Te lo chiedo di nuovo, dammi un buon motivo per andarci adesso. – Sembri una vecchia cornacchia spennacchiata. – Vecchia, spennacchiata, ma ancora piena di fascino. Mi siedo, lascio che mi serva il tè. Lo vedo che fa fatica a stringere le dita intorno al manico della teiera, ma dirle qualcosa significherebbe solo metterla di malumore. Sarebbe capace di compiere uno sforzo insensato per stringerla meglio e scaraventarla contro il muro, la teiera, solo per dimostrarmi il contrario. Solo per provare a se stessa che può ancora prepararmi il tè, prendersi cura di me. – Comunque nevicava anche quando ci siamo trasferite qui. Anche le ciniche hanno una memoria sdolcinata. – Cosa? – Oddio, adesso sei anche sorda. – No, è che ho smesso di ascoltarti. Da anni ormai. – Segui le mie labbra. Nevicava. Quando. Siamo. Venute. A vivere. Qui. In questa casa. Lo sai dove siamo adesso? – Ma finiscila. Però ha ragione. Anche quando siamo venute a stare qui nevicava. Però faceva più caldo. O forse, magari, semplicemente, ero più giovane e meno freddolosa. Tutti quegli scatoloni. Ero convinta che non ce l’avremmo mai fatta. – Qua allora ci mettiamo il tuo studio, eh? Che ne dici? – C’è una luce bellissima, sì. – E qui, attenzione, la camera da letto! – Ti chiamerò chiodo fisso. – E lamentati anche. Senti, ho un regalo per te. – Un regalo?   Avvolgo la tazza con le mie piccole mani grinzose. L’anello che mi ha regalato quella sera sbatte contro la ceramica. Ho sempre adorato il suono degli anelli contro tazze e bicchieri. Mi viene sempre in mente quella favola che leggevo da bambina, dove una delle protagoniste scandiva il ritmo della musica con gli anelli sui bicchieri di cristallo. Com’è che si chiamava? Non mi ricordo. Dannata memoria. – Dove sei finita? – Nei ricordi. Chissà, forse è colpa della neve. – Sì, la neve. Tesoro, fattene una ragione, sei vecchia, e i vecchi rimbecilliscono. – Tu ne sai certamente qualcosa. Due vecchiette grinzose, ecco cosa siamo. Mi vede ancora bella? Io la trovo meravigliosa, come un libro antico, ingiallito, le pagine tessute di inchiostro sbiadito, che non mi stanco di leggere, e leggere, e leggere ancora. Quando mi sfiora, anche solo distrattamente, il cuore mi tremola esattamente come sessant’anni fa. I suoi baci, e le sue parole. Le sue mani doloranti, la sua forza. Il suo sorriso. La sua pelle. – Ma sai che è strano davvero. – Cosa? – Questa faccenda della neve. – Che faccenda? – Nevicava anche quando abbiamo portato a casa Annabelle dall’ospedale. Ti ricordi? Mi volto verso la finestra. Fiocchi grossi, compatti, sfilano al di là del vetro. Mi ricordo. – È bellissima. – Sì. – Anche tu sei bellissima. – Lei di più. – Sei stanca? – No. – Hai paura? – E tu?   Non ce lo siamo mai dette. Eravamo annientate dalla paura. E fiocchi grandi, proprio come questi, si abbattevano sulla macchina che procedeva lenta, incerta, esattamente come noi, che portavamo a casa Annabelle. Si alza mentre io guardo ancora la neve, e penso a tutta quanta la nostra vita. Le battaglie che abbiamo combattuto, e che abbiamo vinto. Riconosco l’impatto incerto della sua gamba sul pavimento, l’anca che cede, le succede quando sta seduta troppo a lungo. Entra nel mio campo visivo da destra, si avvicina alla finestra, le spalle leggermente curve in avanti, e quei pantaloni di flanella che prima o poi dovrò buttare via. Di nascosto. – È meglio se vado a fare un po’ di spesa, che qui non sembra aver nessuna intenzione di smettere. E resto sospesa, come un fiocco di neve. Mi volto, rintraccio la mia immagine nel riflesso del tè, e mi riconosco al di là delle rughe. Faccio schioccare l’anello sulla ceramica. – Non voglio che smetta. Mai.

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