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Il tarlo ippopotamo – XIII

Non so più che dire. Tredici.

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qui il dodicesimo

Olè!

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XIII

Ci vollero in tutto quindici lunghissimi giorni.
Posso dirlo senza temere di esagerare o di enfatizzare gli eventi, senza Tarlo Ippopotamo non ce l’avrei mai fatta ad affrontarli.
Durante il giorno, tutto sommato, tra il lavoro, la casa e il resto riuscivo a non pensarci, riuscivo a vivere con una serenità sufficientemente dignitosa. Ma al tramonto, con il lento scurirsi del cielo, ogni volta il dannato bagliore arancione mi afferrava alle spalle facendomi rannicchiare su me stesso in modo imbarazzante.
Era in quei momenti che interveniva Tarlo Ippopotamo. Mi si accucciava vicino e iniziava a cullarmi con il suo gnac gnac gnac gnac che riusciva contemporaneamente a calmarmi e a mantenere vivo il desiderio di uscire vincitore da quella battaglia, da quella guerra.
Mi salvò più di una volta dall’irrefrenabile e incontenibile frenesia che mi faceva afferrare un sasso pronto a scagliarlo contro quel lampione che aveva, lo sapevo, definitivamente cambiato me e la mia vita così come la conoscevo.
È riuscito anche a tirarmi fuori da uno stupido, ma in fondo, credo, naturale cedimento. Improvvisamente, alla fine della prima settimana di attesa e di stallo, ho provato un impetuoso senso di solitudine. Desideravo raccontare tutto a Sergio, Mario e Antonio. Tarlo Ippopotamo, leccandomi amorevolmente le mani, mi aveva fatto capire che era una cosa senza senso, che quella era la mia guerra, la nostra guerra, e che dovevo comprendere quanto fosse ingiusto coinvolgerli, metterli forse in pericolo, costringerli a rivoluzionare le loro vite così come avevo dovuto fare io. È stata la sua lingua rasposa e il pensiero della confusione che avrei potuto innescare nei miei amici a convincermi a lasciar perdere, a far assopire lentamente, fino a scomparire, quel folle desiderio di condivisione.
Ci vollero, dunque, quindici lunghissimi giorni, ma soprattutto quindici lunghissime sere prima di poter indossare di nuovo gli abiti scuri e il passamontagna.
Colpimmo gli stessi cinque lampioni, più altri cinque. Più, finalmente, Lui.
Poter di nuovo accecare quel maledetto bagliore mi ha provocato un piacere sottile, sinuoso come una mano che dolcemente ti sfiora, un piacere morbido, invasivo ma delicato, che mi si è distribuito uniformemente lungo tutto il corpo, raggiungendo ogni più piccolo anfratto di pelle e muscoli e sangue.
Non sapevo quanto saremmo dovuti andare avanti così. Tarlo Ippopotamo, però, era convinto che ad ogni azione ne consegue un’altra, che ogni gesto provoca una reazione. Era convinto che prima o poi sarebbe stato il nemico a sbloccare la situazione. È inevitabile, diceva.
Non avevo motivo di dubitare delle sue parole.
E infatti non mi deluse. Due giorni dopo il secondo attacco, in realtà prima di quanto lui stesso avesse previsto, ma tanto meglio, la situazione si sbloccò.
Subito dopo il lavoro, prima di rientrare a casa, mi sono fermato al minimarket per comprare la pasta, i pelati e i salatini per la partita di pinnacolo.
Non mi sono accorto immediatamente di quello che stava accadendo, impegnato com’ero a ripensare proprio all’ultima partita in cui avevo corso un grosso rischio pescando un lunghissimo pozzo che mi aveva però ricompensato permettendomi di vincere. Non mi sono accorto subito dell’assembramento che si era creato alla cassa due. Mi ci è voluto un attimo, uno di troppo, per riconoscere in mezzo alla calca di persone e carrelli il volto del vigile Alfonso. E ho capito di non avere via d’uscita quando mi hanno raggiunto frammenti di frasi e parole. Lampioni, delinquenti, fare qualcosa, indecente.
Sono caduto dentro ad una melma di panico profondo e totale.
Cosa dovevo fare? Ignorarlo e incolonnarmi alla casa uno? Prenderlo in contropiede cercando il suo sguardo lasciando intendere una certa forma di compassione come a dire ‘di qualunque cosa si tratti, ed io certamente non lo so, non vorrei essere nei tuoi panni’? Oppure dovevo avvicinarmi come un qualsiasi onesto cittadino ad ascoltare per capire di quale fatto increscioso si discutesse?
Dovevo decidere, dovevo farlo in fretta ma soprattutto da solo, senza l’aiuto di Tarlo Ippopotamo che in quel momento, probabilmente, se ne stava acciambellato sul letto o sul fresco delle mattonelle del bagno.
Cosa avrei fatto se fossi stato ancora, davvero, un onesto cittadino estraneo ai fatti?
Gnac gnac gnac gnac. Gnac gnac gnac gnac. Ganc gnac gnac gnac.

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se tutto va bene ci vediamo il 14

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