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Il tarlo ippopotamo – IX, X e XI

Eh, niente, dai.  Capitoli IX, X e XI

… Qui il primo capitolo, qui il secondo, qui il terzo e qui il quarto, invece qui il quinto, qui il sesto e il settimo. Qui l’ottavo.

Olè!

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IX

Non so per quanto tempo siamo rimasti sdraiati lì, sul pavimento della cucina. So che mi sono svegliato nel mio letto, con il tarlo ippopotamo accucciato ai miei piedi che mi guardava come stesse aspettando da ore che finalmente aprissi gli occhi.
Gnac gnac gnac gnac.
Siamo scesi in cucina. Ho bevuto il caffè con la fronte appoggiata al vetro della porta a vetri, con il tarlo ippopotamo che si strusciava sulle mie caviglie come un gatto.
Gnac gnac gnac.
– Lo so, lo so, – gli ho detto – lo ripareranno. Magari non oggi, magari nemmeno domani. Ma lo ripareranno.
Gnac gnac gnac.
– Non lo so cosa dobbiamo fare, non lo so. Perché per una volta non proponi qualcosa tu?
Gnac gnac gnac.

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X

Tanto per cominciare devi tornare a lavoro. Nessuno deve sospettare niente, non ci deve essere niente di diverso dal solito. Mi segui? Devi tornare ad essere il tranquillo, modesto, affidabile e, lasciamelo dire, prevedibile contabile di sempre. La cosa importante è allontanarti da quello che sta accadendo, capisci? Nessun legame, nessun sospetto. Mi segui? Bene. Lasciamo che le cose tornino al loro posto, e poi attuiamo il piano. Sì, io ce l’ho un piano. Cosa pensavi che fossi qui a fare, a raggomitolarmi in fondo al tuo letto per scaldarti i piedi nelle lunghe e gelide notti d’inverno? Seguimi e non fare domande inutili. Lasciamo calmare le acque e attacchiamo. Non guardarmi così. Pensavi fosse un gioco? Pensavi fosse un gioco in difesa? Lasciami finire. Dobbiamo attaccare, capisci?  Li dobbiamo spiazzare, questo dobbiamo fare, spiazzarli. No, non scuotere la testa adesso, fammi il favore. Non scuotere la testa. L’hai iniziata tu questa guerra. E non sgranare gli occhi. Chi lo ha lanciato il sasso? Io? Eh no, l’hai lanciato tu. Chi ha mentito al signor vigile? Io? No, sempre tu. E sei anche bravo, sì, sì, lasciatelo dire, sei bravo. È per questo che non devi mollare. Mi capisci?
Alzati, alzati da lì, guarda.  Lo vedi il tuo giardino? Lo rivuoi? Lo rivuoi esattamente come era prima? Non piangere adesso. Non devi piangere, e non devi mollare. Capisci? Bene. Allora stammi a sentire, stammi a sentire attentamente.

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XI

Non mi ero mai guardato nello specchio senza riconoscermi.
Tarlo Ippopotamo, seduto in poltrona, mi osservava soddisfatto annuendo pacificamente con il suo enorme testone.
Avevo fatto tutto quello che mi aveva detto. Ero tornato a lavoro, avevo ricominciato a vincere a pinnacolo, mia sorella mi aveva sorriso sollevata dicendo che si era sicuramente preoccupata per niente.
Nessuno, nessuno mai avrebbe potuto sospettare che quell’uomo nello specchio, vestito di nero, con un passamontagna a coprire il viso e uno zaino pieno di pietre appoggiato vicino alla porta potesse essere l’affidabile contabile, l’amabile amico, l’amorevole fratello, il gentile vicino.
Mi tremavano comunque le mani.
Ero spaventato ed eccitato dalla paura che sentivo corrermi addosso su e giù.
Tarlo Ippopotamo mi ha raggiunto davanti allo specchio e mi si è arrampicato addosso per darmi qualche piccolo buffetto di incoraggiamento, poi è sceso e mi ha preceduto in cucina.
Io mi sono tolto il passamontagna, la pelle del viso leggermente sudata, e l’ho seguito. Se ne stava seduto sul tavolo, picchiettando meditabondo con la sua zampona sopra la cartina della città che per giorni, e per notti, avevamo studiato fin nel più infinitesimale dettaglio.
Avevamo ipotizzato, scartato e confermato fino ad ottenere una lista di cinque bersagli utili.
Non aveva più senso aspettare né cercare, ancora una volta, di fare un passo indietro e poi un altro e poi un altro ancora per provare a far finta che niente di tutto quello fosse mai successo, che niente di tutto quello che stava per accadere fosse reale, fosse necessario. Tarlo Ippopotamo era lì, giorno e notte, a ricordami quanto alta fosse la posta in gioco, a ricordarmi cosa potevo perdere ma anche,  sopratutto, cosa potevo ottenere.
Mi sono asciugato il sudore sulla fronte, sul mento, intorno al naso. Mi sono seduto in giardino, gli ho parlato senza dire una parola, senza dire una parola gli ho fatto una promessa, illuminato dal dannato, maledetto lampione. Da giorni sopportavo quell’orrendo bagliore. Niente inutili sospetti. Così aveva detto Tarlo Ippopotamo. Lasciamo calmare le acque. E così io avevo lasciato in vita il lampione.
Quando le lancette dell’orologio si sono posizionate sulle due e mezzo mi sono alzato, sono rientrato in casa, ho indossato di nuovo il passamontagna e con lo zaino in spalla, preceduto da Tarlo Ippopotamo, sono uscito senza sapere cosa sarebbe accaduto davvero.

Avevo paura.

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prossima, venerdì 8 luglio

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