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Il tarlo ippopotamo – VIII

E otto… Qui il primo capitolo, qui il secondo, qui il terzo e qui il quarto, invece qui il quinto.

E invece qui il sesto e il settimo.

Olè!

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VIII

Mi sono risvegliato il mattino dopo con uno strano sapore in bocca e un forte dolore al collo. Avevo dormito sul divano, con la testa piegata in modo innaturale dopo aver mandato giù a forza un’insipido panino al tonno. Mi sentivo stordito, inadeguato. Ho chiamato di nuovo al lavoro per prendermi un altro giorno di malattia. Mi sarei preoccupato in seguito delle conseguenze.
Sono uscito in giardino, così innocuo adesso. Così simile, così uguale a prima che tutto cominciasse a precipitare. Mi sono guardato intorno, piano. Avevo trascurato tutto. L’erba, le foglie, le piante. Tutto. E il giardino, il mio giardino, mi restituiva solo disprezzo.
Sono rimasto seduto fuori a lungo, quasi a volermi scusare della mia inerzia, colpevole senza appello. Mi lasciavo guardare ed accusare senza fuggire. Con il tarlo ippopotamo che mi osservava seduto dietro la salvia.
Gnac gnac gnac gnac.
Quel masticare incessante non mi lasciava concentrare, non mi dava spazio per riuscire a capire quale fosse la soluzione migliore.
Stavo seduto lì.
Gnac gnac gnac gnac.
Non avrebbero mai smesso di riparare quel maledetto lampione. Per quante volte avessi potuto colpirlo, cosa che, lo capivo, non mi potevo più permettere di fare, Tugnetti avrebbe fatto in modo di rimetterlo in funzione.
Gnac gnac gnac gnac.
Tugnetti.
Gnac gnac gnac gnac.
Tugnetti.
Gnac gnac gnac gnac.
Ero in trappola, non c’era soluzione. Mi dovevo rassegnare, avvitare la mia vita su questa nuova e scomoda variante.
Gnac gnac gnac gnac.
Sono arrivato a domandarmi se non fosse semplicemente il caso di andare da Tugnetti, sedermi davanti a lui nel suo ufficio e da uomo a uomo, da persone civili, chiedergli se cortesemente poteva disattivare il lampione in modo che io potessi godermi le mie tranquille serate in giardino. Forse mi avrebbe capito. Se avessi usato le parole giuste, il tono giusto, forse mi avrebbe compreso. Forse anche lui aveva una passione, un rito, qualcosa che lo faceva rilassare e rappacificare con il mondo dopo una giornata di lavoro.
Forse, se fossi riuscito a spiegargli tutto, anche del tarlo ippopotamo, forse avrebbe accettato la mia proposta. Scartai l’ipotesi quando immaginai Tugnetti che faceva arrivare in ufficio quattro grossi infermieri in camice bianco che mi portavano via gentilmente, rassicurandomi che ci pensavano loro a mandare via il mio tarlo elefante, e io a spiegargli che no, non era un tarlo elefante ma un tarlo ippopotamo.
Ho pensato di vendere la casa, cercare un altro posto, un altro giardino.
Potevo andarmene, licenziarmi, cambiare città. Allontanarmi dal lampione, da quel suo alone arancione pallido e ricominciare tutto da capo.
Ma non potevo, e non volevo, lasciare tutto. Il mio lavoro, i miei amici, mia sorella.
Gnac gnac gnac gnac.
Gnac gnac gnac gnac.
Sono rimasto seduto lì a pensare tutto il giorno lasciando che il mio giardino mi punisse guardandomi con disprezzo, con il tarlo ippopotamo che vagava per il prato.
Gnac gnac gnac gnac.
Gnac gnac gnac gnac.
Sono rimasto seduto lì finché il bagliore arancione non ha cominciato a farsi spazio tra la passiflora fino a raggiungermi. Il tarlo ippopotamo sembrava impazzito, correva scomposto da una parte all’altra del giardino.
Gnac gnac gnac gnac.
Gnac gnac gnac gnac.
Gnac gnac gnac gnac.
È stato un tutt’uno. Mi sono alzato, mi sono chinato, ho afferrato un sasso, ho fatto un fischio al tarlo ippopotamo che mi è balzato sorprendentemente agile in braccio. Ho lanciato il sasso, e nel fragore del vetro in frantumi sono corso in casa.
Gnac gnac gnac gnac. Gnac gnac gnac gnac. Gnac gnac gnac gnac. Gnac gnac gnac gnac. Gnac gnac gnac gnac. Gnac gnac gnac gnac.
Acquattato a terra, davanti alle persiane chiuse guardavo fuori, in attesa di un movimento, un movimento qualsiasi, accarezzando lentamente la testa del tarlo ippopotamo.
Gnac gnac gnac.
Gnac gnac.

Gnac.

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stesso posto, ma chi sa a che ora, il 5 luglio

3 risposte

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