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Cesca, Luisa ed io

Appallottolata sul seggiolino del treno, immersa in una stanchezza totale.
Dormire. Sarebbe la cosa più intelligente da fare.
Eppure, invece.
Cesca, Luisa.
Sono passate quasi 24 ore dalla prima di Ni una más a Trieste.
Penso che mi serve un po’ di silenzio. Adesso.

Adesso che l’ho vista camminare sul palco dentro la sua armatura.
E m’è finalmente uscita dal sangue.

Ho vissuto più di due anni con Cesca addosso, e con gli occhi verdi di Luisa.
E adesso resto sola.
Attraversata.
Con questo senso di abbandono che conosco bene, che so che passerà ma che ora mi lascia senza fiato, senza forze.
Come avessi trattenuto il respiro, in tutto questo tempo, nello sforzo della concentrazione, nella contrazione dei muscoli. Per tenermi tutto stretto. Per non lasciar scappare niente, perdere niente, sbagliare niente.
Per tenermi stretta Cesca. E con Cesca Luisa. E me.
E penso che adesso mi serve un po’ di silenzio.
E, per favore, qualcuno che spenga questa cazzo di aria condizionata, perché mi sta congelando il cervello.
Del silenzio e un po’ di tepore, per cortesia.
Che il coraggio di chiudere gli occhi, e lasciar andare tutto, io mica ce l’ho.
Di allentare la contrazione dei muscoli, di sputare fuori l’aria (!) e poi riprendere a respirare.
Io mica c’è l’ho davvero.
Domani, forse.

Cesca, Luisa ed io
foto: Andrea Messana

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