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Il sigillo che mi teneva legata al testo

qualcosa si è rotto
foto: andrea messana

Ieri sera, mentre andava in scena Ni una más, qualcosa si è rotto.

Il sigillo che mi teneva legata al testo.

Alle parole. Ai punti, e le virgole. Alle pause.

Ogni volta che Giovanna sale sul palco io mi domando su quale colore di Cesca deciderà di accendere la luce.
Ogni volta che Giovanna va in scena sento le mie parole in un modo nuovo, sempre diverso.
E questa è una cosa potente.
Per me, che scrivo narrativa, è poter assistere all’atto magico della lettura. Una lettura con un suo corpo, una sua voce, una sua sensibilità.
Perché io scrivo, e poi c’è qualcuno che legge. E chi legge lo farà sempre e comunque con un bagaglio di emozioni diverso dal mio.
Io non ci sono mai quando qualcuno legge le mie cose. Ma ci sono quando Giovanna, e Nerina, leggono Ni una más ogni volta che va in scena.
Ed è una cosa potente. Potentissima. È qualcosa di inebriante, e spaventoso, e bellissimo.

Ieri sera, sul palco del Camploy, ho assistito ad un’altra interpretazione della mia Cesca.

E qualcosa si è rotto.

Ho visto quanti colori ci sono dentro al testo, tra quelle parole, e quelle virgole, e quei punti, e quelle pause.
Ho visto che Ni una más è lí, qualsiasi sia il colore su cui Giovanna, e Nerina, decidano di accendere la luce, in questa lettura in perpetuo movimento, in perpetuo mutamento.
Ho visto che Cesca è lì, fatta di una materia che è forza pura.
Cesca è lì, con la sua rabbia. E la sua lucidità. Anche nel dolore.

E quel costume non sarà mai il simbolo di una supposta e pretesa fragilità. Perché la fragilità non appartiene né Cesca né a Luisa. Quel costume non rappresenterà mai ferite o fratture che non si curano, che non si rimarginano.
Quel costume è altro. È tutt’altro. È molto altro. Ni una más è altro. È tutt’altro. È molto altro. Ma questo lo si può capire solo sedendosi davanti a Cesca, davanti a Luisa.

Qualcosa si è rotto quando ho visto le mie parole diventare più grandi. Più grandi di me. Quando ho visto lo spettacolo alzarsi. I punti, le virgole. Le pause. I piedi. Le braccia. Le gambe. Un corpo compatto.

Qualcosa si è rotto quando io e Ni una más ci siamo guardate negli occhi. Non io e Cesca. Non io e Luisa. Non io e Nerina. Non io e Giovanna.

Io e Ni una más.

Sorrido.

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