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Marghe – un racconto

Come Rita, come Ghita, come Altra.

Vuoi passarti il palmo della mano sulla nuca sudata. Sollevare i riccioli rossi sudati, appiccicati sul collo sudato.
E assaporare il sollievo.
Ma non hai mani libere. Il sacchetto della spesa pesa, pesa nella mano destra. Non troppo, ma pesa. E la mano sinistra stringe il cappio di plastica che ciondola dal soffitto del tram.
Fa caldo.
E non hai mani libere.

È una sensazione semplice, di semplice disagio temporaneo. Sotto pelle, si intromette.

Di questo si tratta.
Sensazioni che attraversano il corpo appena sotto la superficie. Nel caldo, nelle voci, nei corpi. Tutto intorno. Il tram che frena secco, si sposta il baricentro e perdi l’equilibrio.
E lo ritrovi.
Instabile.
La spesa i finestrini chiusi il traffico le macchine i palazzi i negozi le persone sedute le persone in piedi. Si intromettono. Sotto pelle, a volte. C’è qualcosa, appena sotto. C’è qualcosa, quasi sempre. Qualcosa per cui a volte, al mattino, ancora ancorata al sonno, disarticolata. Come aver il corpo sparpagliato sotto le lenzuola.
Conti le fermate. Le percorri e le superi, una dopo l’altra e sei a casa, hai fatto la doccia, stai preparando la cena. Sei al sicuro. Ma adesso è adesso, con i vestiti addosso e i corpi intorno, i respiri le parole le vite gli occhi i piedi nei sandali la borsa di traverso la tracolla di traverso i semafori rossi l’equilibrio perduto ritrovato. Instabile.

Interferenze.
Di questo si tratta.
Interferenze.

Si riparte, adesso e di nuovo. Al di là del vetro una ragazza in bicicletta attraversa il traffico. Sta cantando. Non la senti, ma la vedi, è evidente. Sorride e canta. La vedi, la guardi, la segui con lo sguardo. Pedala senza mani, in perfetto equilibrio. Il tram si allontana, la ragazza si allontana, fila via veloce oltre le macchine. Ti resta nello sguardo. Il tram si ferma, delle persone scendono. Spazio. Appoggi il sacchetto della spesa per terra.
Ti passi il palmo sulla nuca sudata e sollevi i riccioli rossi sudati appiccicati sul collo sudato.
È una sensazione semplice, di semplice piacere temporaneo. Si infila sotto pelle.
Di questo si tratta.
In questo tempo che passa e che scivola scivola e scivola e si stende si allarga si gonfia in questo tempo qui e ora.
Di questo si tratta. Sensazioni. Interferente. Continuamente. Qui e ora. E qui e ora, dissolviti. Quante volte l’hai pensato. Quante volte ti è sembrato di sentirtelo dire?
Imperativo.
Dissolviti, ma senza fare rumore, fatti aria. Né troppo fredda né troppo calda. Evapora, fatti soffio. Dissolviti. Ma come se non fossi, mai stata. Mai stata qui né altrove. Mai esistita. Mai esistita in questo tempo che passa e che scivola scivola e scivola e si stende si allarga si gonfia.
Dissolviti.
Imperativo
o desiderio.
Comandamento.
Attraversata da questa correnti senza nome, da queste parole sconosciute, incagliate. Disarticolate. Che si formano e si sformano, slittano e si insediano negli angoli bui, sull’autobus, mentre ti fai la doccia e poi ti guardi nello specchio, parli al telefono, cerchi il sonno sotto le coperte. Fatti aria, fumo o vapore. Senza lasciare alcuna traccia di te. Impronta. Vuoto. Assenza o differenza. Indifferenza. Come se non fossi, mai stata. Mai stata qui né altrove. Mai esistita.
Incomprensibile, impronunciabile.

Marghe, dissolviti.
Interferenze imprevedibili.
Di questo si tratta.
Imperativi.
Interferenze
disarmoniche
armoniche.
Desideri.
Inclinazioni.
Pieghe.
Slittamenti.
Contraddizioni.
Asimmetrie.
Esitazioni.
Piani inclinati.
Cacofonie.

Conti le fermate, pensi ripassi ripensi le cose che devi fare. Perché di questo si tratta. Quello che devi fare. Ma c’è qualcosa, e ticchetta. Come il tempo, ma non è il tempo. Perché il tempo non ticchetta. Gli orologi ticchettano, ticchettano così forte che non riesci a dormire. Come i pensieri, che a volte ticchettano. Ticchettano così forte che non riesci a dormire. I pensieri. Ticchettano. Quando cerchi il sonno sotto le coperte.
Incomprensibile, impronunciabile.
Ma il tempo no. Il tempo non ticchetta, il tempo scivola, e scivola e scivola e scivola e tu ci scivoli dentro. Il tram ci scivola dentro. La vita ci scivola dentro.
Senza arrivare mai.
All’infinito.
All’infinito attraversata da correnti a cui non sai dare un nome, da queste parole che non sai riconoscere.
In questo tempo e negli altri, in questo luogo e negli altri.
All’infinito.
Di questo si tratta?

Scivolare.
Imperativi.
Interferenze
disarmoniche
armoniche.
Desideri.
Inclinazioni.
Pieghe.
Slittamenti.
Contraddizioni.
Asimmetrie.
Esitazioni.
Piani inclinati.
Cacofonie.

Se mi levassi di dosso uno strato dopo l’altro cosa resterebbe di me?
Lascia stare.
Non ci pensare.
Non dubitare.
Passati ancora una volta il palmo sulla nuca sudata, spostati i riccioli rossi sudati appiccicati sul collo sudato. Osserva il sole, il sole che batte. Mentre il tram vibra e freme al semaforo rosso. Il sole che batte sull’albero. Osserva il sole che batte sulle foglie. Foglie verdi che fremono. Foglie verdi, verde scuro, verde che sembra grigio, grigio che sembra argento, verde chiaro, verde quasi bianco, bianco. Trasparente. Fremono. Brillano. Danzano.
Marghe, sorridi.
Non troppo, né troppo poco.
Sorridi, lascia andare. Lascia andare, sorridi. Marghe, non scavare, non domandare, non indagare. Non dubitare. Lascia che tutto sia come deve essere, e siedi al tuo posto.
Marghe, sorridi. Sei quasi arrivata.

Non dubitare.
Dissolviti.
Imperativo.
Desiderio,
trascurabile.
Angoli bui.
Parole insediate.
Sibilano, insinuano instillano sobillano. Verità, e porte e abissi e specchi.

E bastasse passarsi il palmo sulla nuca sudata per dissolversi. Farsi vapore o fumo o aria.
Asincronie. Correnti senza nome. Incagliata, disarticolata.
Bastasse passarsi il palmo sulla nuca sudata, e scostarsi i riccioli rossi sudati appiccicati sul collo sudato per non perdersi, e non essere sempre incerta nel passo, nel gesto, nella decisione. Bastasse passarsi il palmo sulla nuca sudata per non sentirsi. Per non sentirsi sempre. Qualcosa che sta negli angoli bui insieme alle parole insediate. Bastasse passarsi il palmo sulla nuca sudata, per non sentirsi trascinata. Incapace. inadeguata. Guidata. Indirizzata.
O dissolversi.
Dissolvere le interferenze. Le cacofonie. Questo senso di perdita. Questo senso di incompiuto.
Irrisolta.
Sul tram che riparte, ondeggia, rallenta, singhiozza. Fuori c’è il sole. Hai fatto la spesa. Tornerai a casa e preparerai la cena, studierai ancora un po’ per il colloquio di domani. Chiamerai i tuoi genitori.
Di questo si tratta.
Fare le cose che devono essere fatte.

Questo è quello che sai, questo è quello che sei.
Questo. È. Quello. Che. Sei.
Questo.

Nient’altro.
Imperativo.
Ma le parole sobillano. I pensieri a volte disarticolati che non ti fanno dormire.
Qualcosa, da qualche parte. Qualcos’altro da essere, qualcos’altro da sapere. Desiderare, stringere, immaginare. Ma sei disarticolata, inutilizzabile. Come se non fossi, mai abbastanza. Su questo tram, in un tempo e in un altro, in questo luogo e negli altri. Sei tu, pensi. Devo per forza essere io, ti dici. Con le buste della spesa, e i capelli appiccicati sul collo sudato. Sono io? Devo essere io. Io che non riesco ad essere, mai. Abbastanza. Non essere sempre, non esagerare. Si gentile, per favore. Abbi pazienza, questo non puoi farlo. Non gridare. Copriti. Accontentati. Lascia fare me. Sorridi. Ascolta. Cerca di capire. Non essere sempre. Non è compito tuo. Devi. Adesso te lo spiego io. Sii gentile. Non puoi sempre. Vergognati. Sono io che vorrei affermare, affermare? Stringere. Sono io che ho imparato ad ignorare. Sono io, ho imparato. A non disturbare, non parlare, non dire, non dubitare. Sono io, che non so pedalare senza mani in perfetto equilibrio. Sono io, che ho imparato a nascondere, soffocare, evitare. Sono io, che vorrei ma non posso, non voglio, non credo, non riesco. Che non importante, ho imparato. A scivolare. Sono io? Che non riesco ad essere perché mi hanno sempre detto di essere. Sono io che scendo da questo tram? Io che non mi riconosco perché non so cosa cercare. Nello specchio, se mi guardo, quando mi guardo. Disarticolata, sono io? Sorridi, Marghe, anche se striscia, interferisce. In questo tempo che scivola scivola e scivola e scivola e si stende si allarga si gonfia. Sono io, su questo marciapiede?
Si stende si allarga dai gonfia.
Tamponamento a catena.
Tutto deraglia.
Sono attimi.
Perché di questo si tratta.
Attimi.
Rapidi.
Impercettibili.
Invisibili.
Insignificanti.
Inafferrabili.
Indicibili.
Ma io cosa?

Sono io che attraverso la strada, socchiudo gli occhi per la luce del sole che mi prende all’improvviso, sbuca da dietro un palazzo. Sono io. Con questa spesa. Con la tracolla, i sandali, la canottiera, la minigonna. Sono io. Sono sempre io.
Ma io cosa? Ma. Io. Cosa. Fino a quando, fino a dove.

Sorridi, Marghe.
Sorridi.
Se serve dissolviti.
Come se non fossi.
Mai stata qui.
Né altrove.
Sei stata addestrata alla dissolvenza.

Oppure resta.
Esisti.
Dubita.
Apri la porta, accendi la luce. E non chiudere gli occhi. Pronuncia l’impronunciabile. Sputa nel piatto. Non chiedere permesso. Afferra. Afferma. Afferrati, qui e ora. Manifesta il taciuto, verbalizza il non detto. Resta, esisti. Dubita, fermati, rallenta. Avanza. Stai nel tempo, nel tuo tempo. Esisti nel corpo e nello sguardo. nelle cose che non devono essere fatte. Articola l’indicibile. Immagina il proibito. Qui e ora. Nelle distanze da percorrere, nelle cose da desiderare.

Resta.
Esisti.
Nei passi,
nei gesti.
Nell’affermazione.
Qui e ora, nella chiave nel portone, nell’androne fresco, nelle scale, nella porta. Nel sollievo. nelle sensazioni.
Nel tuo qui e nel tuo ora. Resta. Esisti. Nelle interferenze, attraverso le interferenze.
Resta Marghe.
Resta.

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