Potrei scivolare anche io, parlando di Dieci dicembre di George Saunders, nella disquisizione capolavoro sì/capolavoro no. E potrei discettare di postmodernismo, e di scrittura minimalista. Potrei. Ma le mie sono (non)recensioni. E quindi potrei ma non lo farò. Mi sono piaciuti questi dieci racconti. Mi sono piaciuti tutti. E mi sono piaciuti perché la scrittura di Saunders è libera ma non per questo casuale. Perché il linguaggio è semplice e diretto e per questo estremamente efficace nel raccontare, con alcuni momenti di estrema dolcezza e altri di estremo squallore, cose di per sé non semplici da affrontare. Non curva mai, Saunders, nella sua scrittura. Non devia, non percorre una rotonda più volte prima di decidere la direzione da prendere. Mi sono piaciuti perché i dettagli che compongono trama e personaggi sono messi tutti al posto giusto nei momenti giusto giusti. Mi sono piaciuti perché dentro ci sono tante cose. C’è lo squallore (sì, lo so, l’ho già usata questa parola. Evidentemente qualcosa di questi racconti me l’ha appiccicata addosso) della provincia, la frustrazione dei traguardi non raggiunti e il sentirsi inferiori. C’è l’amore. C’è l’infanzia che si ripropone nell’agire dell’età adulta. E la necessità di scegliere una posizione, un gesto. Ci siamo noi, e gli altri. Ci sono gli esseri umani, con le debolezze, i rancori, le paure e desideri, che si lasciano andare a flussi di pensieri a volte commoventi. Mi sono piaciuti, sì. Mi permetto di aggiungere un pensiero mio. Quando ho finito di leggere Dieci dicembre sono andata su Anobii a leggermi un po’ di recensioni. Così, un po’ per curiosità un po’ per vedere se ci avevo preso. La quantità di commenti che iniziano con “Premetto che non leggo e che non mi piacciono i racconti” è stata sconfortante. E a chi pensa che il racconto sia facile da scrivere, a chi pensa che il racconto sia una forma di scrittura subordinata e minore rispetto a quella del romanzo posso solo suggerire di leggere Raymond Carver, Alice Munro, Checov, Virginia Woolf (si, la signora Woolf non ha scritto solo grandi romanzi ma anche grandissimi racconti), Italo Calvino, Ernest Hemingway. I racconti di Valeria Parrella, di Aldo Nove, di Niccolò Ammanniti. Grazia Deledda, Dino Buzzati. Kafka, i racconti di Kafka! E Saunders, naturalmente, a questo punto. E la smetto altrimenti mi esalto e faccio solo sfoggio di nomi. Potrei mettermi a discutere, potrei parlare di racconti per pagine e pagine. Potrei, ma non lo farò. Mi limito a dare un consiglio, leggete (anche) i racconti. Dieci Dicembre George Saunders minimumfax pp. 222
Lo so. Sono in ritardo. Praticamente di un anno. Ma abbiate pazienza. Al mio orecchio era giunta questa notizia, poi travolta da chissà cos’altro. Torna, adesso, trasformata in urgenza, ché i neuroni hanno impastato i dettagli e formulato un pensiero: “Lo voglio”. “I principianti” di Raymond Carver. Perché la questione è questa. Nel 1981 esce “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” (pubblicato in Italia dalla Minimum Fax). 17 racconti che ho letto, riletto, studiato, smembrato, ingoiato e rigurgitato. Così, per dire. Ecco. “I principianti”, uscito con Einaudi praticamente un anno fa, è la raccolta degli stessi 17 racconti senza l’intervento però dell’editore di Carver, Gordon Lish. Ché il signor Gordon Lish, non è che i racconti di Carver, che ancora non era Carver, li ha solo pubblicati. Si mormora che ci siano, dalla stesura di Carver a quella pubblicata nel 1981, il 50% di pagine in meno, finali cambiati, personaggi rivisti. Insomma. Aver tra le mani “I principianti” significa avere tra le mani un Carver mai letto. Poter mettere sulla scrivania, aperti sullo stesso racconto, questi due volumi, è qualcosa che mi fa aumentare la salivazione. Olè (mercoledì 10 marzo 2010 dal blogspot)