I taccuini di Goliarda furono la sua ultima spiaggia. E la sua ultima gioia, gioia di scrittrice, s’intende, quella che connota ogni artista letterario: poter scrivere. Se non può farlo si considera spiritualmente morto con le gravi conseguenze che si sanno. Non è un fato d’ispirazione, il vero narratore ignora questa parola, e un po’ lo fa sorridere. Scrivere romanzi di alcune centinaia di pagine ha poco a che vedere con la semplice ispirazione. Significa lavorare il più possibile giorno per giorno con una costanza che solo la capacità di far ordine intorno a sé può permettere, ordine nel caos di un mondo, il nostro, dominato dalla prassi di un tempo assai lontano dal lento lavoro artigianale che richiede un lungo romanzo. Che è come l’opera di un pittore di grandi affreschi, il quale se ogni volta dovesse attendere la cosiddetta ispirazione potrebbe considerarsi spacciato.
Angelo Pellegrino, prefazione a “La mia parte di gioia, Taccuini 1989 – 1992”
Sto leggendo tutto di Goliarda Sapienza, e tutto su Goliarda Sapienza. La sto assimilando piano piano, testo dopo testo. Ho un quaderno pieni di appunti, cerco di rintracciarla tra le pagine.