Quelli che mi spiegano le cose e mi dicono cosa devo fare. Sono ovunque, escono dalle fottute pareti. Letteralmente.
Arroganza, supponenza, paternalismo. Una mezcla micidiale.
Quelli che affossano, manipolano e monopolizzano discussioni, cene, assemblee. Quelli che rendono luoghi e spazi, reali o virtuali, asfittici e inospitali. Addomesticati dall’ego, spaventati dalla complessità, che deve essere riposizionata su linee chiare, nette, parallele e perfettamente distinguibili l’una dall’altra.
Quelli che mi spiegano la guerra e mi dicono da che parte stare, quelli che mi spiegano la vita e mi dicono cosa guardare, cosa ascoltare e cosa leggere. Cosa, quando. Come. In una piramide di priorità inespugnabile, indiscutibile, da prendere e praticare come in un atto di fede. Perché loro sanno e io, evidentemente, no, quindi ho bisogno che qualcuno mi guidi e mi conduca sulla via della comprensione. Quelli che mi spiegano come essere una compagna, una femminista, un’anarchica. Che mi spiegano fin dove mi posso spingere e dove invece divento inopportuna.
Se non si riesce a distinguere la differenza tra comunicare un’idea e imporre una condotta, tra l’esposizione di un pensiero e la sovradeterminazione, tra l’essere assertivi e l’essere colonizzatori, tra radicalità e narcisismo, tra il difendere un’idea e l’usarla per affermare superiorità e delineare gerarchie, tra l’esigenza di condividere un punto di vista e il volerlo semplicemente scaraventare addosso all’altro senza distinguere né contesto né momento solo per soddisfare chissà quale bisogno o prurito, forse c’è un problema.
E sicuramente non è mio.