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Cado

Devo essere sincera. Ogni tanto mi tremano le gambe, la testa si svuota. E mi vien voglia di arrendermi. Spogliarmi di tutto e lasciarmi trasportare. E dove non ha importanza, purché sia un luogo preciso, ben definito, dalle regole chiare, senza possibili deviazioni o diramazioni. Un luogo che sia un ruolo, una posizione, una definizione. Un luogo che sia assenza di domande, di dubbi, di criticità. Arrendermi, lasciarmi inserire. Accettare di entrare in almeno una delle scatole preconfezionate a disposizione. Smetterla con i no, abituarmi a dire sì. Rinunciare al caos, alla rabbia, alla caparbietà, a quei due tre etti di convinzioni che mi porto appresso e delegare. Mettere da parte la vaghezza, l’instabilità, il moto mutevole dei desideri, riporre l’incoscienza, chiudere in un cassetto l’ostinazione. Accogliere i compromessi. Letteralmente, abbassare gli occhi e piantarla di dibattermi, di divincolarmi.
Mi costa, e non poco. Ma davvero, devo essere sincera.
Ogni tanto, sarà la vecchiaia, o magari quest’infinita fame, quest’infinita frenesia, quest’infinito rifiuto a fior di labbra che mi sostiene ma che, diciamocelo, può anche sfibrare, sarà quel che sarà ma, ogni tanto, me lo domando.
Non mi sono mai piaciute né le bilance né tanto meno i bilanci, ma capita che ci casco anche io.
Raramente.
Ma forse per questo quando casco lo faccio con tutte le scarpe, vestita dalla testa ai piedi, guanti e cappello compresi. La sciarpa ben stretta, che quasi quasi soffoco.
Ci casco. E me lo domando.

Ma dove cazzo sto andando?

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