Non esiste un inconscio collettivo ma solo un inconscio relativo. Non ci sono momenti storici, ma momenti stagionali. Lo spirito sacro dei tempi si frantuma in piccole risacche di piacere dove si dovrebbe soggiornare lo stretto necessario per dire di esserci stati. Il problema è che gli uomini hanno un bisogno fisiologico di sentirsi parte di un universo più grande di loro, anche quando le dimensioni di quell’universo si sfaldano come polvere nelle loro mani, anche quando sanno benissimo, in cuor loro, che i confini tracciati sono residui della più assoluta casualità. Eppure lo stesso sentono la necessità di postulare qualcosa che si faccia carico delle loro azioni, che dispensi castigo e perdono nelle loro vite, qualcosa di così astruso e ineffabile su cui non potrebbero mai avere la meglio. Non sto parlando di Dio, questo miraggio competitivo di tecnologia esistenziale è l’abbaglio finale degli atei più convinti. La gente non sa accontentarsi, desidera insieme prigioni di massima sicurezza e continue vie di fuga … Veronica Raimo, Il dolore secondo Matteo