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Letizia Muratori [cit. Come se niente fosse]

«Prima leggo, ma poi scrivo» le dissi. «Sul serio?» Giacinta smise di accarezzare Belli e dannati. «Sì, ricopio le pagine che mi piacciono su un quaderno». «Ma che stranezza». «È come disegnare, se sapessi disegnare le disegnerei, quelle pagine». «Interessante, e perché lo fai?». «Così mi sembra quasi di averle scritte io. E mentre copio mi sento meglio». «Però non si fa. Se ti piace scrivere, magari ispirati ai libri che leggi, e poi prova a buttar giù qualcosa di tuo». Per me scrivere era davvero come disegnare, un gesto della mano. Dovevo allenarmi, tentare di riprodurre quegli spazi sicuri e inaccessibili, e così cominciai a fare come con le imitazioni. A imitare ero proprio brava, tutti mi chiedevano sempre: ti prego, facci questo e quello. A un certo punto, da un deserto di pensiero mi veniva fuori qualcosa che non aveva più niente a che fare con il modello, ma era un’invenzione di gesti e battute su cui potevo andare avanti a oltranza. Ci provai: dal copiato passai all’imitazione. Riga dopo riga, percorrendo quelle pagine con l’accanimento di chi va in bici a rotelle, vennero fuori i miei primi, stentati paesaggi. Avevo imparato a pedalare, e potevo cadere in ogni momento, ma non tornare indietro. Letizia Muratori, Come se niente fosse Adelphi

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