Cuore cavo – Viola Di Grado – (non) recensione
Dorotea si uccide il 23 luglio 2011 alle 15.29 […] Le cose sembrano uguali ma hanno perso sostanza: il mar Ionio non è più freddo e non mi bagna, la roccia antica intorno al fiume di Cavagrande non è abbastanza dura da impedire il mio passaggio, e se nuoto posso spingermi fin dentro l’utero grigio della pietra. […] Le cose sembrano uguali ma hanno perso la parola: da viva se avvicinavo le dita al fuoco il calore diceva il dolore ai miei nervi, ora,invece ogni fiamma è muta. […] Il cuore è il primo organo a fermarsi e il primo organo ad irrigidirsi. Le pareti del cuore di Dorotea si ispessiscono, come a proteggersi da quest’ultima delusione. Inizia il viaggio. Due viaggi, in parallelo. Quello del corpo e quello dell’anima che non è arrivata a destinazione, a quell’aldilà su cui contano tutte le religioni. Due viaggi. Quello del corpo e del suo disfacimento, inesorabile, carne in decomposizione. Quello di Dorotea, nella morte e oltre la morte, invisibile ai vivi, dentro il dolore, dentro l’abbandono. Dentro l’amore, caparbiamente. Dentro il sospeso e il non detto. Il non fatto. Una matrioska di traumi dentro una matrioska di stanze vuote. Un viaggio che come tanti viaggi è solo un cerchio da chiudere. Un abbraccio in cui fondersi. Perdonare, perdonarsi forse. In qualche modo ritrovarsi. Ricomporre, ricomporsi. Viola Di Grado ha un bel rapporto con le parole. Le sa scegliere e accostare, e manipolare per farle aderire al materiale narrativo senza strappi, senza intoppi. La narrazione è solida, niente buchi, niente margini bianchi. Ho adorato il romanzo di esordio della Di Grado, Settanta acrilico trenta lana, e avevo lo sciocco timore di sentirne la mancanza durante la lettura di Cuore cavo. Non è successo. Cuore Cavo Viola Di Grado p.166 E/O qui, la (non) recensione di Settanta acrilico trenta lana