E non c’è birra che mi possa salvare
A me la depressione non mi prende alle spalle. No, no. A me la depressione mi corre incontre come un pendolino impazzito, mi travolge e m’abbatte al suolo guardandomi dritto dritto negli occhi, un secondo prima dello schianto. E mi ritrovo così, sfrantegata al suolo, imbrigliata nella vita, impedita, incapace di sciogliere gli infiniti intricati nodi. E non c’è birra che mi possa salvare, non esiste sigaretta che mi possa consolare. Non c’è storia che mi possa liberare del peso infinito che mi si pianta in mezzo al petto. E in questi eterni attimi vorrei solo poter dormire ad oltranza, o magari schioccare le dita e ritrovarmi così, nel posto perfetto nel momento perfetto. Invece. Tutto lo schifo che con fatica immane riesco solitamente a tenere almeno, almeno, fuori dalla mia testa, fuori, almeno, dalle sante e sacre mura di casa mia, si riversa mefitico ovunque. Chilometri di stronzate, conteiner di cattiverie. Ettolitri di ipocrisie. Come avere un pappagallo spennacchiato e brutto, e secco e vecchio, un pappagallo orrendo, appollaiato sulla spalla, che rantola. E non c’è birra che mi possa salvare. E tutta la stanchezza del mondo, ecco, quella sì, quella mi piglia alle spalle. Stanca. Stanca di mediare, stanca di sorridere. Stanca di conciliare desideri e doveri. Stanca. Stanca di correre, inciampare, cadere, sanguinare. Stanca di farmi il culo, stanca di star sempre in bilico. Stanca. Che qualcuno spari a questo cazzo di pappagallo.