Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentirne l’odore. Mobili di legno antico, fiori. Un po’ di polvere. Se chiudo gli occhi, riesco ancora a vederla. La luce. L’angolo di prospettiva dalla porta di ingresso, il corridoio che corre verso sinistra, il mobile di legno con lo specchio in cui si riflettono due barbuti figuri immobili dentro due quadri che per quanto brutti anche loro mi mancano. La sala da pranzo, le tende bianche e le piante. Il salotto, la televisione accesa e i piedi nudi di mia madre che spuntano appoggiati sul bracciolo della poltrona. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire il rumore dei piatti nell’acquaio di marmo, la radio accesa in bagno, il gioco dei tagli di luce che dalle stanze si incastrano sul pavimento del corridoio. Se chiudo gli occhi corro di corsa dal salotto al bagno, tutte le luci accese. È sera, stiamo guardando la televisione. Sono piccola e ho paura del buio. Se chiudo gli occhi vedo l’albero di Natale, la tovaglia bianca con i trifogli, il lampadario acceso. Se chiudo gli occhi sto correndo dalla cucina verso la camera da letto dei miei genitori con in mano la mia calza della befana. Sono le otto, è festa. Mi inchiodo davanti alla porta chiusa e mi ricordo di bussare e di parlare piano. Se chiudo gli occhi entro in cucina mentre mia nonna sta preparando l’impasto delle polpette, con le lenti degli occhiali un po’ unte e con qualche granello di pangrattato appiccicato sopra. Infilo due dita nella ciotola e poi mi metto in bocca un pizzico di carne trita con pane, uova, latte, sale e noce moscata. Se chiudo gli occhi e apro la finestra della cucina esco in terrazza, se allungo una mano riesco a prendere un fico dall’albero che sale dal giardino della vicina del piano di sotto, e se esco dalla cucina, con il fico in bocca e vado verso il bagno, davanti al bagno, in camera, c’è mio padre che cammina avanti e indietro mentre sente la partita della fiorentina alla radio. Se chiudo gli occhi sono sdraiata sul mio letto, sto fumando, ascolto della musica. Sto leggendo. Sto scrivendo. Se apro gli occhi resta il fatto che nella casa dove la mia famiglia ha vissuto per più o meno quaranta anni adesso c’è uno studio di avvocati. Credo sia giunto il momento di superare il lutto. Questi che ho scritto sono cazzi miei, praticamenta senza il minimo interesse collettivo indispensabile a trasformare un fatto personale in un racconto. Non resta che trasformarli in un qualcosa d’altro. Ci sto lavorando.