Il cielo grigio incombe, preme sui vetri delle finestre. Passa un camion lungo la strada. Tutto tremola per un attimo, mentre fuori lo sciabordio dell’acqua sollevata dai pneumatici fa da controcanto al picchiettare delle gocce di pioggia. Andrea tira le maniche del maglione fino a coprirsi le mani, arriccia le dita attorno alla lana morbida, fa un sospiro. Fissa senza interesse i suoi piedi nudi aggrappati al pavimento. Immobile, e il tempo che scivola via. E nessun pensiero germoglia, nemmeno attecchiscono. Passano, non restano. La terra intanto gira intorno al sole, cambiano ombre e inclinazioni. Ginocchia al petto adesso, i talloni sulla formica sbeccata della sedia, le dita che si inarcano, antiestetiche, nello sforzo di mantenere la posizione improbabile. Una boccata d’aria, testa offuscata, molle. Il tempo scivola via, il silenzio, l’aria, dopo la momentanea apnea, che entra ed esce dal naso. Con movimenti circolari si torna sempre al punto di partenza. Ed è stallo, stasi, lunga inerme attesa. Adesso libera le mani dalla lana morbida, e due dita, della mano destra, raggiungono i capelli, ne separano una ciocca, iniziano a giocarci. Gli occhi fissi. La mente immobile, immersa nel vuoto pneumatico dell’inerzia. La pioggia aumenta, il cielo grigio si appesantisce ancora, si gonfia, preme ancora e deforma i vetri della finestra. Il tempo scivola via, in blocchi da giornate intere. La terra gira intorno al sole, ma non muta l’immobilità. Andrea abbandona la ciocca di capelli, ripone i piedi di nuovo sul pavimento, solleva il corpo, cammina. Mobili, oggetti, stanze, polvere. Apre il cassetto dei calzini, ne afferra un paio, si siede sul letto, li infila. Si volta verso la finestra, per un attimo pensa di uscire, così, in pigiama, coi calzettoni, e di mettersi sotto la pioggia. Si volta dall’altra parte, prende una sigaretta, la accende, si stende sul letto. Attende di passare oltre, di oltrepassare indenne il fiume di inerzia. Si lascia andare. Rilascia i muscoli, sblocca le giunture indolenzite. Respira piano. Arriverà, un giorno. Il giorno arriverà. Lunga attesa, mentre il tempo scivola via. Fissa il soffitto, le travi di legno, i solchi dei tarli. Usa il pavimento come posacenere. Riempie e svuota i polmoni. Spegne la sigaretta, si alza, cammina. Stanze, mobili, oggetti, polvere. L’anima in letargo. Solo un angolo resta vigile, e sorveglia. Perché c’è sempre il rischio di affogare. Nell’assenza di desiderio, nell’assenza di ricerca. Nell’assenza di voglia. C’è sempre il rischio di soccombere all’eco del silenzio. Stanze, mobili, oggetti, polvere. Andrea si siede, i piedi, avvolti nei calzettoni, aggrappati al pavimento. Immobile, e il tempo che scivola via. Con movimenti circolari si torna sempre al punto di partenza. Quando tutto si allontana restando dov’è. Andrea lo sa. Guarda di nuovo fuori dalla finestra. Ancora quel pensiero. Uscire e mettersi sotto l’acqua, in pigiama, con i calzettoni ai piedi. Appoggia la testa sulla spalla.
Domani.