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La mia scrittura in lockdown

La mia scrittura in lockdown.
La scrittura, la mia, che non riesce a seguire il pensiero. Il pensiero si è fatto scostante, irrequieto e mutevole. Il pensiero segue un tempo elastico, che si dilata e si contrae, in perpetuo movimento. Il pensiero è in perpetuo movimento, perpetuo mutamento.

Non si riesce a fermarlo, non si riesce ad afferrarlo.

Per poterlo osservare, per poterlo comprendere, per poterlo seguire.
La scrittura, la mia, in questo tempo eccezionale, si è ritirata, in attesa.
Perché il pensiero è troppo.

Troppo irrisolto, troppo confuso, troppo sospeso, strappato, condensato, allargato.
Troppo.
Scrivere significa andare a fondo, immergersi e scavare, scavare sul fondo. Ma il pensiero si è fatto cavità insondabile.
Rischio di rimanere senza ossigeno, cercando di raccontare questo tempo.
Questo tempo folle, scandito dalle assenze, dalle sospensioni.
Le parole si affollano, spingono. Le frasi si formano e si sfanno. Crollano a terra, tintinnano.
Riuscire a narrare questo tempo eccezionale. Nell’assenza.
Nel troppo pieno, nel troppo vuoto. Nella mancanza di immaginazione, di costruzione possibile.

Le parole si affollano. Scappano, sfuggono. Urlano, digrignano i denti.

Le frasi formano e si sfanno. Crollano a terra, tintinnano. Frammenti, disordinati e dispersi, si nascondono.
Narrare questo tempo eccezionale, in quale forma, con quale voce. Con che registro.
Con quali parole.
Rabbia. Frustrazione.
Desiderio. Frenetico. Implacabile. E corpo irrequieto. Intrappolato.
La scrittura in lockdown. Il pensiero intrappolato. Il corpo intrappolato.
Il tempo in lockdown.
Attraversare i giorni, metterli insieme cercando un senso. Cercando il senso. Una direzione possibile, una possibile traiettoria.
Di fuga. Di uscita. Di azione possibile.
Di azioni possibili, gesti, percorsi, istanze.
Ma il pensiero si sforma. Si dilata, si contrae. Si contorce, si dibatte sul fondo della cavità insondabile.

Irrequieto e mutevole, in perpetuo movimento. In perpetuo mutamento.



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