blockmianotes

Giorno: Maggio 25, 2011

Via delle Camelie
(non) recensioni di libri

Via delle Camelie – Mercè Rodoreda – (non) recensione

La scrittura di Mercè Rodoreda riesce sempre a portarmi altrove. E Via delle Camelie mi ha portata nel flusso di memoria della protagonista lasciandomi addosso la sensazione di aver vissuto in intimità con qualcuno. La capacità di accostare dettagli, eventi e sensazioni per creare il mosaico della narrazione è l’incanto che permette l’immersione. Non è una lettura facile, il flusso è unico, annulla il tempo e tutto accade in un drammatico ora, in una corsa affannata, rincorrendo e scappando, mettendo a nudo debolezza e crudeltà, mescolando la realtà all’incubo. È un libro cupo e desolato. Un susseguirsi di strappi che non possono essere ricuciti. Via delle Camelie è una discesa all’inferno, quella di Camelia, che è come un vuoto che cerca disperatamente di trovare ciò che la può colmare. E allora ingloba tutto, accetta tutto, si lascia riempire da tutto, e da tutti. Accetterà abbracci che la stritoleranno, cercherà carezze che la feriranno. È un libro pieno di solitudine, e perdita e smarrimento. Eppure è anche una storia a suo modo forte, e dolce, in cui i dettagli si mescolano nel contrasto tra la sporcizia e il profumo delicato dei fiori. È una storia che poteva essere raccontata in mille modi diversi, la storia di una bambina abbandonata davanti ad un portone che passerà la vita a cercare quello che l’abbandono porta via, scambiando l’amore con la cura, e l’uomo/amante con il guaritore, una storia sentita mille volte che la Rodereda ha raccontato in modo unico, portando il lettore dentro Camelia, che resta come sullo sfondo, rarefatta, trascinata. Come un vuoto da colmare. Circondata dal profumo dei tigli. […] Mi liberò dall’incantesimo una voce di bambina che chiedeva come si chiamava quell’uccello: era una bambina bionda, con i boccoli, e dava la mano a un signore. Pensai subito che fosse suo padre. Si erano fermati a guardare l’uccello che pian piano si girò di schiena. Il signore stava in mezzo, tra la bambina e me; era alto e magro, mandava un odore forte di mimosa, e al polsino della camicia portava una pietra azzurra  e scura che di tanto in tanto brillava. Gli presi una mano senza guardarlo e dovetti chiudere gli occhi perché sembrava che ogni cosa si muovesse. Quando li riaprii vidi che la bambina con i boccoli si era avvicinata e mi guardava. Senza una parola diede un colpo molto forte con il taglio della mano tra la mia mano e quella del signore e lo tirò per portarselo via. Se ne andarono in giù per la strada e io non capivo perché quel signore, invece di andarsene con la bambina, non la lasciava lì a guardare l’uccello e non si portava via me. […] Via delle Camelie Mercè Rodoreda La Nuova Frontiera – Collana ilBasilisco 202 p. Altro su Mercè Rodoreda, se ti va. Piazza del Diamante Giardino sul mare e un’intervista all’autrice che ho tradotto dallo spagnolo pubblicata su El Pais nel 10983

un racconto
notes

Quello che vorrei dire e non dico a qualcuno, a tutti, a nessuno

Solamente, penso, che forse è arrivato il momento di smettere. E con queste inutili bugie e con queste maledette ossessioni. E questo continuo scansare il mondo. Ché il mondo non è cosa che si lascia scansare, che ti lascia andare senza farti almeno una domanda. E anche le persone, quelle che incontri, magari sì, si scansano. Ma poi presentano il conto. Loro o chi per loro. Forse è arrivato il momento di smettere con questo gioco in cui nessuno vince. Davvero, ci sono delle cose che devono essere fatte. Altre cose. E non è più il momento di scansare il mondo, scansare la vita, mettere da parte l’altro, come fosse un fastidio, come fosse un intralcio, come fosse uno scalino troppo alto. Scansare l’altro se non è funzionale alla visione utilitaristica e scarsamente orginale che hai della vita. Solamente, penso, che forse è arrivato il momento delle risposte, anche se non è mai stato, per te, quello delle domande. E di guardarsi allo specchio, letteralmente, e accorgersi del disfacimento. Accorgersi dell’ombra. Scoprire e gestire la distanza tra la realtà e l’immaginazione distorta e alterata. E scoprire anche da che parte gira davvero il mondo e intorno a cosa, eventualmente. Riconoscere l’incalcolabile mole di debolezza e inadeguatezza che ti porti appreso. E l’abisso di incapacità in cui annaspi, e le lacune in cui cerchi di non affogare. Prima che la montagna di merda su cui hai costruito la tua vita si sfaccia. Prima che qualcuno si faccia male, più di quanto non sia già successo. Più di quanto non stia per succedere. Senza aspettare che sia l’altro che tu scansi, eviti e ignori a domandare, porre rimedio, risolvere. Senza costringere l’altro a benedire ed assolvere i tuoi peccati. Senza portare l’altro ad affogare nei tuoi gorghi. Senza costringere l’altro a viverti mentre tu hai sempre meno a che fare con la vita. Senza nascondersi, senza bluffare. Senza manomettere.

Skip to content