Distorsióne
Distorsióne s. f. [dal lat. tardo distorsio –onis, class. distortio –onis, der. di distorquēre «storcere», part. pass. distortus]. – 1. In genere, spostamento o deformazione che provoca un’alterazione della forma o dell’atteggiamento naturale: la d. dell’immagine riflessa da uno specchio concavo o convesso. In usi fig., alterazione, stravolgimento: d. del vero senso di una frase (nell’interpretarla o nel riferirla); un’intenzionale d. della realtà dei fatti; strana d. e caricatura del procedere filosofico (B. Croce); d. innaturale con cui aveva cambiato momentaneamente in odio l’amore per il figlio (V. Brancati). (Treccani) Sono io o sono loro. Distorta o distorti? Dalle casse rotte che gracchiavano (na na na na na) / Uscivano i Beach Boys distorti Io, sicuramente, nella banalità del doversi guardare nello specchio un po’ più a lungo, per riconoscersi. In questa immobilità innaturale, il corpo teso e deformato in una posizione di difesa inefficiente. La mente alterata nella sua forma, vaga, non si ferma mai, rincorre qualcosa. Io, sicuramente alterata nel mio atteggiamento naturale. Agitata. Mi sento scossa agitata-a, agitata-a, un po’ nervosa-a / Uoh uoh. In un acutizzarsi esponenziale della percezione dell’ostilità del mondo. Nella sentenza definitiva che sancisce il mio non poterlo abitare, trasformare, nemmeno all’interno di quel perimetro delineato negli anni. Anni di lotte, anni di pensiero critico, anni di condivisione. Il perimetro si restringe e posso solo abitare me stessa, nella rottura della condivisione, nella rottura della comunicazione. A cui, evidentemente, non riesco a rinunciare e provo a raccoglierne i pezzi. E provo a condividere, comunicare. Nello stravolgimento del vero senso delle frasi, nell’intenzionale distorsione della realtà dei fatti tutto intorno a me. C’è tutto un mondo intorno che gira ogni giorno / E che fermare non potrai / E viva e viva il mondo, tu non girargli intorno / Ma entra dentro al mondo, dai. Ma dal mondo arrivano messaggi distorti, le casse si sono rotte, le voci gracchiano. Non le riconosco, non riesco a collocarle nella galassia di cui ho, evidentemente, perso le coordinate sentimentali, insieme a quelle politiche, per la spedizione interstellare del pensiero e del procedere e le parole fluttuano alla deriva nello spazio, mentre il discorso critico muore su due binari paralleli. Le voci gracchiano parole deformate. Io credo, in qualche modo, deformate dal panico, e si manifestano in un rigurgito di attaccamento ossessivo, mentre il discorso critico muore su due binari paralleli alimentati dall’inquietudine, dal disagio, dalla confusione, dalla paura e da una rabbia malsana che annebbia gli occhi e perde di vista il bersaglio, e la comunicazione si interrompe e diventa soliloquio, tarlo che mastica in sottofondo. Ma i miei pensieri sono distorti, la mia testa gracchia. Per usare una citazione, più pop della metafora sulla spedizione interstellare ma sicuramente più calzante, la merda è entrata nel ventilatore.