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Tag: politica

Annie Ernaux [cit. Gli anni]

[…] Più ancora che un modo di affrancarsi dalla miseria, gli studi le paiono lo strumento di lotta privilegiato contro quell’impantanarsi femminile che le suscita pietà, quella tentazione di perdersi in un uomo che ha già conosciuto (come nella foto del liceo di cinque anni prima) e di cui ha vergogna. Nessuna voglia di sposarsi o di avere dei figli, la maternità le pare incompatibile con la vita dello spirito. Ad ogni modo è sicura che sarebbe una pessima madre. Il suo ideale è l’unione libera di una poesia di André Breton. A volte si sente schiacciata sotto il peso delle cose che ha imparato. Ha un corpo giovane e un pensiero vecchio. Sul diario ha scritto che si sente «stomacata da idee passepartout, satura di teorie», che è «alla ricerca di un altro linguaggio» per «tornare a una purezza primigenia», sogna di scrivere in una lingua sconosciuta. Le parole le sembrano soltanto «un ricamino ai bordi di una tovaglia di notte». Altre frasi contraddicono questa stanchezza: «Sono un volere e un desiderio». Non dice quale. […] […] Ora le voci erano vibranti, aggressive, si interrompevano senza tante cerimonie. I volti esprimevano la collera, il disprezzo, il godimento. La libertà dei gesti e l’energia dei corpi bucavano lo schermo. Se di rivoluzione si trattava, era in quei cambiamenti dei modi di fare che si stava davvero compiendo, in quella nuova espansività, in quella rilassatezza, in quei corpi seduti dove e come capitava. Quando il ricomparso de Gaulle – ma da dove sbucava? lo speravamo uscito di scena definitivamente – riesumava con una smorfia di disgusto il termine chienlit per parlare di quella che ai suoi occhi era solo una pagliacciata, senza nemmeno sapere cosa volesse dire quel vocabolo desueto percepivamo tutto lo sdegno aristocratico che gli suscitava la rivolta, ridotta a una parola che richiamava alla mente escrementi e amplessi, brulicare animalesco, scatenarsi degli istinti. Non facevamo caso al fatto che non stesse emergendo nessun leader operaio. Con la loro aria paterna i dirigenti del PC e dei sindacati continuavano a determinare i bisogni e le volontà. Si precipitavano a negoziare con il governo – che tuttavia era quasi immobile – come se non si potesse ottenere niente di meglio che l’aumento del potere d’acquisto e l’innalzamento dell’età pensionabile. Guardandoli uscire dal Ministero del lavoro dopo gli accordi di Grenelle, tutti intenti a enunciare pomposi, con parole che avevamo già dimenticato da tre settimane, le «misure» alle quali il potere aveva «acconsentito», ci si sentiva venir meno. […] Annie ErnauxGli anniL’Orma Editore Altro su Annie Ernaux Annie Ernaux – L’evento – cit.

(non) recensioni di libri

Il seggio vacante – J.K. Rowling

Si può parlare dell’ultimo libro di J.K. Rowling senza citare o fare alcun riferimento alla saga di Harry Potter (pur avendo letto ripetute volte tutti i sette libri che la compongono)? Io credo di sì. E infatti non farò né l’una né l’altra cosa. Mi limiterò a dire che è stato inizialmente straniante leggere le parole “masturbazione” o “scopare” invece di “pozione polisucco” o “gorgosprizzi”. Sono bastate però pochissime pagine per dimenticarmi di Hogwarts e dei babbani. J.K. Rowling, con Il seggio vacante, ci porta dritti dritti nella meschinità e nella temibile mediocrità di una piccola cittadina inglese. Che potrebbe essere benissimo una piccola cittadina italiana. La morte improvvisa di uno dei membri del Consiglio scoperchia il secchio dell’immondizia, e i piccoli e grandi vermi vengono fuori, uno ad uno. Le invidie e le ipocrisie. I giochi di chi il potere ce l’ha, e quelli di chi il potere lo verrebbe avere. Famiglie all’apparenza perfette che si sfaldano pagina dopo pagina. Lo squallore della medio borghesia che vuole espellere il quartiere dei reietti come si espelle un cancro, lo squallore di chi difende il quartiere dei reietti finché le proprie piccole, piccolissime vite costruite sull’apparenza non entrano in contatto diretto, reale, con quei reietti. L’ipocrita buonismo progressista di sinistra (se fossimo in Italia). Le vite, intime e pubbliche, degli adulti e degli adolescenti di Pagford si intrecciano e si accavallano attraverso piccoli e grandi scandali, genitori che alzano le mani sui figli, salumieri con manie di grandezza, gelosie, uomini incapaci, donne alla ricerca di qualcosa che hanno irrimediabilmente perduto, figlie che si infliggono dolore per liberarsi dal dolore, figli che non sanno nemmeno più come odiare chi li ha messi, o non messi, al mondo, rapporti di forza, silenzi e disagio. Mi hanno detto che c’è chi s’è sperticato le mani gridando al capolavoro. Ecco, io non lo definirei tale. Ma la Rowling sa scrivere, nel suo modo semplice e lineare. Può non piacere, per carità, ci mancherebbe altro. Ma sembra conoscere quello di cui parla e sembra desiderosa di comunicare altro oltre alla storia che ci racconta. Sa far emergere i personaggi anche solo con due tre tratti e ha un’invidiabile abilità nel descrivere i movimenti dell’animo in subbuglio dentro agli adolescenti. Si avvale di molti stereotipi, bisogna dirlo, in questo romanzo, ma li mescola a piccoli e grandi dettagli per costruire una trama estremamente plausibile, ahimè, e per restituirci uno squarcio di società che chiunque di noi può vedere e che molti di noi negano. O avvallano. Il seggio vacante J.K. Rowling Salani Editore

(non) recensioni di libri

Last Love Parade – Marco Mancassola – (non) recensione

Ho finito Last Love Parade e sono rimasta così. Con il movimento infiltrato nelle gambe e i bassi agganciati al petto. E il desiderio di immergermi e riemergere. Ricordi, sensazioni. Ancora e di nuovo. Ho finito Last Love Parade e sono rimasta così, con in bocca quel sapore amaro che si dissolve in un sorso d’acqua. Con in bocca il sapore di una scrittura secca, ritmica, spessa. Eppure dolce, melodica, leggera. Lucida. E l’impressione che ti si appiccica addosso quando qualcuno ti racconta qualcosa di suo, qualcosa però che in fondo è anche tuo. E se anche non lo fosse lo fa così bene che è come se. Mancassola riannoda i fili della musica elettronica, dalla dance alla gabba, passando per la trance e la minimal, dal clubbing al free party, i raver che si sovrappongono ai traveller. Il sogno del party infinito. La jungle e la drum’n’bass. Le fusioni e le eredità, […] il divertimento come conquista sociale […]. Dj come musicisti. Derive e derivazioni. Gli anni ’70, gli anni ’80, i ’90 e il nuovo millennio. E la macchina dentata della commercializzazione/mercificazione del divertimento che ingloba, normalizza, canonizza, ingabbia. Mastica e sputa. […] Ogni rivoluzione assorbita sul nascere, ogni nuovo accenno (musiche, stili, droghe, idee politiche, pratiche sessuali, ogni nuova virgola nella frase del mondo) trasformato entro pochi mesi in uno special televisivo. La membrana che separa i due piani si assottiglia fino a farli coincidere, o annullarli entrambi: se non esiste controcultura, nemmeno cultura. […] E se non è il denaro è la legge, ma qui il nodo da fare è doppio. E scioglie i nodi di un’amicizia, del volersi salvare a vicenda. Dello scoprirsi necessario all’altro e dello sperimentarne la necessità. E i silenzi colmi e poi il guardasi dormire. Cercarsi. Riconoscersi. Proteggersi.  E […] sapere se anche lui sentiva quel senso sospeso, quasi una specie di compito da assolvere, qualunque fosse il vero compito di quell’età: crescere, conoscere il proprio amico, raccogliere strategie contro il dolore che verrà. […] E la ricerca di una direzione tra le infinite direzioni, […] smettere di portarti dietro i desideri come infiniti pesi morti. […] Quindici anni, vent’anni, trent’anni. Mancassola traccia traiettorie, elettroniche e personali, senza mai tralasciare il contesto politico, sociale, geografico. Altre traiettorie, altri fili da annodare. Altri fili da sciogliere, attraverso la musica che […] è la spia del mondo. La musica è la schiuma di una società: il prodotto più leggero, e al tempo stesso rivelatore. […] Ho finito Last Love Parade e sono rimasta così, a pensare che […] ancora una volta non si può che ballare. […] […] Alla maniera del punk, anche la techno sarà una scossa assoluta. Anche la techno incarnerà la vertigine del contemporaneo, e una contraddizione ancora più estrema: ritmi che sembrano fatti da macchine per macchine, ballati da corpi umani. La techno è la prima musica non umanista. E anche la techno sarà consapevole. Disillusa eppure fragorosa. In certe sue frange, raggiungerà esiti nichilisti e orizzonti di puro annientamento più di qualunque canzone punk. Sarà marea senza ritorno. Eppure avrà, nel suo ritmo devastante, qualcosa di struggente. La techno è disumana, la techno è romantica. […] Last Love Parade Marco Mancassola pp. 256 ilSaggiatore

Lezioni americane – Italo Calvino – (non) recensione

Lezioni americane – Italo Calvino – (non) recensione Leggere “Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio” di Italo Calvino mi ha fatto sentire una stupida. Per capirlo, questo libro, capirlo davvero, dovrei avere una conoscenza più vasta dell’opera di Calvino, di tutta quanta la letteratura mondiale, tutta quanta la filosofia e una notevole destrezza tra i meandri della scienza. È un libro pieno, che affascina, che mette in moto il cervello. È un libro onesto, che non impone e non insegna, ma propone, getta i semi, condivide, analizza. Dalle pagine emerge lo scrittore e l’uomo, con le sue oscillazioni, i suoi dubbi, le sue dicotomie. La sua idea di letteratura come mezzo per la conoscenza, il suo rapporto con le molteplici ramificazioni dell’esistente. L’inafferabbilità dell’universo e il suo fascino irresistibile, il binomio indissolubile tra precisione geometrico/matematica e volo pindarico del mondo fantastico, immaginifico. Nel giugno del 1984 la Harvard University invita ufficialmente Italo Calvino a tenere un ciclo di conferenze per l’anno accademico 1985/86. Calvino si propone di esporre sei “memos”, sei promemoria sulla letteratura. “La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi sui mezzi specifici. Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che mi stanno molto a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio.” Il risultato di questo intento, l’ennesima sfida che Calvino prova a superare, è un libro che è un viaggio, un intreccio di considerazioni, valori, domande, risposte, citazioni e collegamenti. E ci troviamo dunque alle prese con la Leggerezza, la Rapidità, l’Esattezza, la Visibilità e la Molteplicità. Assente la sesta proposta, Consistency. Il 6 settembre del 1985 Calvino viene colpito da Ictus. Muore la notte fra il 18 e il 19 dello stesso mese. Nella mia grande, abissale ignoranza, che mi ha fatto girare per casa mugolando “sono stupida, non capisco” come un mantra esorcizzante, alla fine della lettura, questo libro me lo sono vissuto così … Nella lezione sull’Esattezza, si legge: “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.” Siamo dunque alla soglia del nuovo millennio (questo millennio, per intenderci, credo sia bene non dimenticarlo quando si legge questo libro. Calvino, queste proposte, le scrive per questo, nostro, 2000) e siamo in pericolo. E’ in pericolo il linguaggio, e senza linguaggio non c’è letteratura. Dunque, Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità e Molteplicità sono quei valori da tenere in considerazione per salvare il linguaggio, per salvaguardare la letteratura. Solo quando sono giunta alla fine ho avuto la sensazione che la Leggerezza fosse la colonna portante delle proposte calviniane. Leggerezza intesa come “un alleggerimento del linguaggio per cui i significati vengono convogliati su un tessuto verbale come senza peso, fino ad assumere la stessa rarefatta consistenza”,  come “la narrazione d’un ragionamento o d’un processo psicologico in cui agiscono elementi sottili e impercettibili, o qualunque descrizione che comporti un alto grado di astrazione”  oppure come “un immagine figurale di leggerezza che assume un valore emblematico”. Questo, il passaggio che più mi ha dato il respiro ampio della leggerezza: “Nei momenti in cui il regno dell’uomo mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro … “ Stare sopra, in alto, guardare il mondo da un’altra prospettiva, come Perseo che sconfigge Medusa senza guardarla direttamente ma fissandone l’immagine riflessa nello scudo. Perseo che non abbandona la testa di Medusa, ma la porta con sé. Perché guardare le cose di riflesso, guardare il mondo in modo obliquo, non significa non sapere quanto il mondo sia strano e complesso. Anzi. Partendo da questo concetto di leggerezza si procede nella lettura e si  scopre che, in letteratura, è essenziale essere rapidi, quindi agili, mobili, a proprio agio con il materiale narrativo per districarsi all’interno del tempo narrativo. Rapidità intesa, anche, come una velocità che è mentale, che si riflette nella scrittura in immediatezza, in pulizia espositiva, in capacità di seguire innumerevoli voli pindarici senza mai perdere la direzione. Cambiandola, questa direzione, dilatando e comprimendo il tempo narrativo senza sobbalzi ritmici, plasmando la scrittura per poterci inserire tutto il possibile. Il sapersi interrompere e il saper riprendere, il saper passare senza intoppi da un’immagine all’altra in un’economia del testo che è perfetta armonia di ritmo e concetti esposti. Stupenda la parte in cui Calvino individua il mestiere scrittura: “Mercurio e Vulcano rappresentano le due funzioni vitali inseparabili e complementari: Mercurio la sintonia, ossia la partecipazione al mondo intorno a noi; Vulcano la focalità, ossia la concentrazione costruttiva”. E più avanti, ancora più approfondito: “La concentrazione e la craftsmanship di Vulcano sono le condizioni necessarie per le scrivere le avventure e le metamorfosi di Mercurio. La mobilità e la sveltezza di Mercurio sono le condizioni necessarie perché le fatiche interminabili di Vulcano diventino portatrici di significato […]. Il lavoro dello scrittore deve tenere conto di tempi diversi: il tempo di Mercurio e il tempo di Vulcano, un messaggio di immediatezza ottenuto a forza di aggiustamenti pazienti e meticolosi; un’intuizione istantanea che appena formulata assume la definitività di ciò che non poteva essere altrimenti: ma anche il tempo che scorre senza altro intento che lasciare che i sentimenti e i pensieri si sedimentino, maturino, si distacchino da ogni impazienza e da ogni contingenza effimera.” La necessità di lasciarci colpire dal

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