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Tag: newton & compton

(non) recensioni di libri

“Phyllis e Rosamond” – Tutti i racconti – Virginia Woolf

C’è questo racconto di Virginia Woolf. Si intitola “Phyllis e Rosamond”, è il primo della raccolta “Tutti i racconti”, datato 1906. Ecco, io questo racconto lo trovo stupendo. Nel 1904, dopo la morte del padre, Virginia, la sorella Vanessa e il fratello Thoby, lasciano Hyde Park Gate e si trasferiscono nel quartiere di Bloomsbury. E se per Thoby, figlio maschio universitario, forse niente cambia, qualcosa, anzi sicuramente molto, cambia per le sorelle Stephen, che si lasciano alle spalle le stanze buie della dimora paterna, i salotti, i camuffamenti vittoriani, il destino che vuole il passaggio obbligato da “figlie di famiglia” a “donne sposate”. A leggere i diari, le biografie, i “momenti d’essere” della Woolf, lo si capisce cosa abbia significato questo per lei. Il mutamento di prospettive, il contatto con l’altro senza ruoli. Si sa quanto questo abbia inciso sulla sua produzione letteraria. E nella finzione letteraria di questo racconto la Woolf rende possibile l’incontro tra la sé stessa che ha lasciato un futuro già scritto e la sé stessa che invece sarebbe potuta essere se non avesse abbandonato Hyde Park Gate. Phyllis/Virginia, giovane “figlia di famiglia”, stretta negli abiti e nelle convenzioni, chiusa in quel salotto che rappresenta tutto il suo mondo, in cui svolge il suo “lavoro” di ospite attenta, si trova di fronte a Virginia/Sylvia, che vive a Bloomsbury e fa la scrittrice e “prova un piacere letterario a vedersi riflessa in specchi inconsueti e a riflettere nel proprio specchio le vite altrui”. […] “Vuole sposarsi?”, ha chiesto Sylvia. “Può chiederlo? Lei è una fanciulla innocente!… ma certo che ha totalmente ragione. Dovrebbe essere per amore e tutto il resto. Ma”, ha continuato Phyllis, dicendo disperatamente la verità, “non riusciamo pensarla in quel modo. Vogliamo talmente tante cose, che non riusciamo mai a guardare al matrimonio come a un fatto a sé, per quello che realmente dovrebbe essere. E’ sempre commisto a mille altre pretese. Significa libertà e amicizie e una casa propria, e oh!, tutte cose che voi avete già! Le sembra tanto terribile e venale, tutto ciò?” “Mi sembra, sì, piuttosto terribile; ma non venale, credo. Se fossi in lei, scriverei”. […] Tutti i racconti Virginia Woolf Grandi Tascabili Economici Newton pp. 254

(non) recensioni di libri

Lo strano caso dello scarafaggio che diventò uomo – Tyler Knox

Sono un po’ fusa ultimamente, mi succede quando arriva luglio, con il suo caldo e un intero anno sul groppone. Mi lascio andare a letture leggere, che non impegnano tutta quanta la testa. Al supermercato, in offerta, ho trovato questo: “Lo strano caso dello scarafaggio che diventò uomo” di Tyler Knox. Mi è piaciuto. Leggero senza essere stupido, semplice senza essere banale. L’autore si destreggia bene con la sua idea di rovesciare quel gran capolavoro che è “La metamorfosi” di quel gran genio di Kafka limitandosi al parallelismo solo nelle prime pagine, quelle in cui racconta di un piccolo scarafaggio che si risveglia umano, uomo. Per il resto la storia racconta della lenta presa di coscienza di questo cambiamento e della progressiva ascesa di Jerry Blatta dai bassifondi ai piani alti passando per la variopinta malavita newyorkese degli anni cinquanta. Tutto visto dal punto di vista di un insetto fattosi uomo, che osserva e studia i suoi nuovi simili e vede mutare i propri desideri e i propri istinti, ma rimanendo, in fondo, pur sempre, uno scarafaggio. Tutto condito con personaggi azzeccati, come la seconda voce narrante, quella di Acaro, compare di Jerry Blatta. Magari sono tutti un po’ vittime dello stereotipo del malavitoso ma riescono a coinvolgere e a far sorridere. E anche a riflettere, ogni volta che il protagonista si ritrova a paragonare natura umana e natura da scarafaggio. Insomma, non un capolavoro ma sicuramente un buon libro, adatto al caldo che fa e alla mia testa fusa. E poi, mi piace la copertina … Lo strano caso dello scarafaggio che diventò uomo Tyler Knox Newton & Compton p. 384

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