andiam su, andiam su
Stancamente mi allungo sull’unico pezzo di letto libero e mi lascio andare, come se a lasciare andare il corpo mi potessi alleggerire di tutto, di tutti. Abbandonata sulla schiena, con una gamba che non entra nel letto e allora il piede s’appoggia necessariamente sul pavimento, chiudo gli occhi e faccio una smorfia. Si può morire di troppi pensieri? Se ne stanno ammucchiati disordinatamente come tanti piccoli lumini in lontananza. Potrei dire come miliardi di miliardi di miliardi di stelle nel cielo, che se allunghi una mano puoi afferrarne una. Ma non lo dirò. Non c’è niente di poetico in tutti questi pensieri. E non ci tengo ad allungare una mano e ad afferrarne uno. Afferrerei volentieri un po’ di silenzio piuttosto. E andiamo di metafore, perché afferrerei volentieri un po’ di silenzio come s’afferra una mongolfiera per salirci sopra e volare via, qualche chilometro su nell’aria, a fluttuare con rotonda eleganza lontano da tutto questo fracasso, lontano da tutto questo marciume. Lontano, di grazia. Anche solo un po’ più in là. Anche solo un po’ più su. Slegare un peso dopo l’altro, e andiam su, andiamo su, andiam sempre più su. O venitemi a prendere, fin qua su. Provate a raggiungermi, senza mongolfiera. E se ne trovate una, prima vi sputo in testa mentre cercate di raggiungermi. Poi, quando siete vicini, vi sorrido e va la buco. E vi guardo cadere giù.