Ho finito ieri sera di leggere La mano sinistra del buio. So che non riuscirò a scriverne, che non riuscirò a scrivere una della mie (non) recensioni.
Perché una lettura che passa dal cuore e percorre la linea delle affinità lascia frammenti intimi, emozioni che smuovono e si muovono senza poter essere fermate e isolate in frasi che possano avere un significato traducibile dall’interno all’esterno.
Resta il bianco, ghiaccio e neve. L’assenza di ombre. Resta la nostalgia, un’umanità intravista e riconosciuta. Resta l’incanto della scrittura, la complessità della narrazione. La potenza dell’immaginazione, il volo e l’atterraggio. Restano le voci. Le parole. E un pianto improvviso, viscerale e silenzioso.
Restano le frasi sottolineate e appuntate fra cui pare impossibile trovarne una che possa rappresentarle tutte.
Nusuth, chiudo gli occhi e scelgo.
La felicità ha a che fare con la ragione, e la si ottiene solo grazie alla ragione. Quella che mi era data era una cosa che non si può ottenere, né conservare, e spesso sul momento non si può nemmeno riconoscere: la gioia.
La mano sinistra del buio
Ursula K. Le Guin
traduzione di Chiara Reali