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E insomma, ecco il secondo capitolo de “Il tarlo ippopotamo”. Qui il primo capitolo.

Olè!

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II

Al mattino, il giorno dopo, ricordo di essermi svegliato con una strana sensazione di pesantezza. Sono sceso in cucina ma non ho aperto né la porta a vetri né le persiane.
Ho messo su il caffè e mi sono seduto a fare colazione illuminato dalla lampadina a basso consumo del lampadario appeso al soffitto.
Prima di uscire per andare al lavoro, però, ho aperto la porta a vetri e ho infilato lo sguardo tra una listella e l’altra della persiana.
Lui era lì, innocuo, quasi invisibile alla luce del sole.
Ho sospirato, di nuovo, e sono uscito.
Con la scheggia di vetro infilzata nel palmo della mano.

Mi piace molto andare a lavoro a piedi, al mattino presto. Attraversare il mio piccolo paese mentre si sveglia e riprende a vivere dopo la pausa notturna. C’è una sincronia melodiosa che mi fa sentire parte di qualcosa di importante. Io cammino e Marisa, la proprietaria del Bar Del Centro, è sulla porta, le mani nelle tasche del grembiule, che aspetta che qualcuno dai tavoli la chiami per fare l’ordinazione.
Attraverso la strada, la saluto, lei mi saluta, e Giuseppe, il commesso della lavanderia, controlla le riconsegne della giornata mentre la signora Giulia passeggia con Polpetta, il suo cane.
È difficile apprezzare tutto questo con una scheggia di vetro infilzata nel palmo della mano.
Ma ho fatto di tutto per non pensarci. Sono entrato in ufficio, mi sono sistemato alla scrivania e ho svolto il lavoro che mi aspettava come se niente fosse successo.
Durante la pausa pranzo sono andato al bar, ho preso la mia solita insalata, ho parlato con Alfredo, il cameriere, dei lavori per il rifacimento del manto stradale della piazza davanti a casa sua che sarebbero iniziati entro pochi giorni. Sono tornato a lavoro, ho terminato e consegnato gli incartamenti più urgenti.
Alle sei sono uscito e ho percorso a ritroso il tragitto della mattina.
Sono entrato in casa, mi sono cambiato, ho caricato la lavatrice, pulito il salotto, sistemato la biancheria. Poi sono andato in cucina a prepararmi la cena.
Ho esitato prima di avvicinarmi alla porta a vetri. Poi alla fine, quasi ridendo di me stesso, l’ho aperta e ho fatto scorrere le persiane.
Ho cucinato, ho mangiato, ho pulito, in attesa.
Sono rimasto seduto al tavolo, rivolto verso il giardino, rivolto verso la passiflora.
Finché quel bagliore, quell’alone arancione non si è fatto strada verso di me. Ho sospirato.
‘Mi ci dovrò abituare. In fondo, si tratta solo di un lampione.’
Sono rimasto ancora un po’ lì, inondato dalla luce arancione.
Poi mi sono alzato e sono andato a riordinare le foto dell’ultima gita al lago che avevo fatto con Sergio, Mario e Antonio.

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lunedì 20 il capitolo III

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