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Maizo – Elena Giorgiana Mirabelli – (non) recensione

Le note che compaiono in questo testo sono state redatte da Elena Giorgiana Mirabelli dopo una serie di colloqui diurni e notturni con i protagonisti della fuga e la loro portavoce, Maizo.

Scena di apertura, la fuga. Qualcuno corre, nel buio, scappa. Un ponte di legno e corde, delle siepi. Cinghiali dalle zanne gialle e appuntite che con i denti rompono il metallo.

Non li avevano previsti. Nessun cinghiale nelle mappe, nelle storie o nelle schede.

Mitja, che quando dorme stende le gambe, intreccia le mani sul petto e non si muove, ha un dono, memoria e capacità di percepire, un dono che lo rende sensibile e sottile, stanchissimo, ma capace di vedere ciò che per altri è in ombra.

Eco, che taglia l’aria lasciando attorno un profumo di muschio e sale, che ha un IPE oltre il 65%, che sembra non avere un passato. Una piccola fiammella in un corpo di ghiaccio.

Clio, che ha deciso di non parlare, riempie schede di botanica, comunica attraverso Maizo.
“Maizo al centro” significa che Mitja deve raccontare una storia, “Maizo nelle mani” di Eco o Mitja significa che Eco o Mitja devono abbracciare Clio.
E che non ha rivelato a nessuno il suo desiderio.

Maizo è la storia di un Sistema che sceglie la costrizione e la correzione del difetto.
È la storia di un viaggio che nasce dal desiderio di portare il proprio corpo in salvo al di là del dolore e del silenzio, per liberarsi di un destino che quel Sistema vuole segnato e assegnato.

È una storia che si ferma un attimo prima della distopia, ambientata in un luogo qualunque che evoca territori di confine tra urbano e rurale, e in un tempo imprecisato che potrebbe essere il nostro. Ci racconta un frammento di realtà, distorto e filtrato attraverso il punto di vista e le sensibilità di Clio, Eco e Mitja. E Maizo.

Maizo è una storia che si svela, lasciando cadere dettaglio dopo dettaglio i contorni dell’irreale fino a mostrare, nudo nel finale, il suo significato, all’interno di un testo inquieto e doloroso, ma anche delicato e dolce come i baci sul naso, i  baci soffiati.

La voce di Elena Giorgiana Mirabelli resta ai margini. La scrittura è asciutta, senza esitazioni. Come con Configurazione Tundra, la sensazione è che abbia qualcosa da dire e che sappia esattamente come dirlo. Che sia capace di far dialogare l’urgenza della narrazione con la necessità di controllare, calibrare e trattenere la scrittura per permettere all’architettura del testo di accogliere e contenere forma, linguaggio, trama e significati.

Chi celebra chiede al partecipante di guardare il buio e di comprendere il desiderio profondo, solo allora è possibile trasformarsi. La trasformazione, è scritto, è reale. C’è chi è diventato una sirena, chi aquila, chi un gigante; c’è chi è diventato anche solo sé stesso ma più forte, robusto, alto; chi è diventato una creatura come quella dei racconti di Mitja. Grazie al rito puoi conquistare delle ali, delle branchie, puoi conquistare dei polmoni o delle fronde, puoi conquistare un altro corpo o perderlo ma, è scritto, devi guardare il buio, attraversarlo.
Sarebbe riuscita a capirlo, il buio?

 

 

Maizo
Elena Giorgiana Mirabelli
Zona42, 2021
pp. 96, brossura

Se ti va qua c’è la (non) recensione di Configurazione Tundra, il primo di Elena Giorgiana Mirabelli che ho letto.

maizo

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