Mai e poi mai il fuoco di Diamela Eltit lo senti arrivare.
Certi libri, li senti arrivare. Subito. Qualcosa, già dalle prime pagine. Qualcosa nella struttura, nel linguaggio. O forse nel suono. Qualcosa ti dice chiaramente che stai per leggere uno di quei libri. Quelli che vanno a scardinare l’equilibrio, che riposizioneranno la tua idea di scrittura secondo nuovi parametri e criteri di valutazione. La tua idea di romanzo.
Certi libri li senti arrivare subito. Sono quelli che devi chiudere dopo poche pagina, allontanarli, perché il cuore ha saltato un battito. Chiuderlo, tirare il fiato e dirtelo, prima di riprendere a leggere, dirti che stai per leggere uno di quei libri.
Occhio di bue, cono di luce su due corpi in una stanza.
Monologo.
Mai e poi mai il fuoco di Diamela Eltit è un libro difficile. È un libro duro, doloroso. Senza aria, senza pause. È il limite geometrico, imposto e cercato, segnato dalle pareti della stanza, il copriletto sfilacciato, l’incessante ripugnanza. La scrittura è compatta, invalicabile. Muro che non può essere scavalcato, né tanto meno aggirato.
Mai e poi mai il fuoco inizia con la prima parola e finisce con l’ultima, materia compatta, forma solida impenetrabile. Una parola dopo l’altra.
E all’interno di questa forma solida tutto si fonde e si mescola. Il passato e il presente, i corpi apparentemente vivi, i corpi indubbiamente morti. Il tempo, che si piega su se stesso.
Il recente secolo tutto intero o i mille anni decrepiti, insidiosi.
Un’indagine sul corpo, sul suo disfacimento, sulla sua capacità di resistenza, sulla necessità appresa, acquisita, di resistere, sulla caparbietà delle ossa che si sfaldano, sui volti che si deformano fino a far dimenticare la loro forma originaria. Sul fallimento.
Corpi clandestini, radicali. Militanti. Cellule militanti. Cellule biologiche che condividono lo spazio e il tempo, si fondono e si mescolano, non si toccano, loro, lo spazio e il tempo sì, si dilatano e si contraggono, la militanza che si sovrappone, si fonde, assorbe. Scandisce il tempo, segna le scelte, isola il corpo, occlude la mente.
Le parole sono diluite e fuse con il letto, si sono ingarbugliate nella coperta fino a scomparire camuffate negli orli. Quegli orli ormai chiaramente sfilacciati.
La donna ha memoria. Memoria dei luoghi, memoria di frasi e gesti, parole. La donna non ha ancora finito. Il corpo aggredito nella sua biologia. La donna ha necessità di stabilire una versione plausibile e, meglio ancora, veritiera. Mette in atto un prolungato assedio a ciascun avvenimento.
L’uomo non vuole ricordare, corpo curvo, rannicchiato. Chiuso. Votato all’autonomia della distanza. Si è consegnato al letto, ha ridotto i battiti cardiaci, pensa senza alcuna correlazione.
Stanza, scatola, cassa, bara. Occhio di bue, cono di luce su due corpi.
Mai e poi mai il fuoco è la Storia che si dissolve nei segreti. Cellule che si ammalano. Parla del tormento, il tormento del corpo e il tormento del ricordo, del potere che si infiltra nelle ossa. I fantasmi ai piedi del letto, lungo le pareti, camminano. Di infiltrazioni. Di dittatura e di corpi che la attraversano, la combattono, la assorbono. Dittatura politica, dittatura economica. Di un passato che non può essere sepolto e di un desiderio che continua a bruciare. Eventi irrisolti, irrisolvibili, eventi che si accavallano, e si confondono, non posso assicurare niente, il rancore. E una domanda che non viene mai completata.
Abbiamo vissuto come militanti, austeri, concentrati sui nostri principi. Pensiamo come militanti, siamo convinti che la nostra etica sia l’unica appropriata. Lo sappiamo, lo constatiamo ogni istante. Comprendiamo che non possiamo lasciarci sopraffare da sentimenti comuni, sappiamo che la storia finirà per darci ragione. Non abbiamo bisogno di conferme, nemmeno di discuterne all’interno della cellula che siamo diventati.
Mai e poi mai il fuoco
Diamela Eltit
traduzione di Raul Schenardi
gran vía edizioni collana gran vía original, 2021
pp. 160