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L’invincibile estate di Liliana di Cristina Rivera Garza – (non) recensione

L'invincibile estate di Liliana
L'invincibile estate di Liliana
L'invincibile estate di Liliana

Ci sono così tante cose dentro L’invincibile estate di Liliana che non so nemmeno da che parte cominciare.

L’invincibile estate di Liliana di Cristina Rivera Garza è un memoir, è biografia e autobiografia. È un romanzo, ma è una storia vera. È ri-costruzione e de-costruzione. È un saggio e un manifesto. È una ricerca, intima e profonda e insieme universale ed esposta. È ricongiungimento. Amore, rabbia, dolore. È desiderio, passato presente futuro.

Eppure non accade niente in questo libro. Niente eccetto la vita. Tutta la vita di Liliana, la vita di Cristina. Nascere, crescere, scoprire, nuotare, scrivere, amare, viaggiare, cambiare, sbagliare, tacere. Accade la vita, e succede la morte, soprattutto. Non smette di succedere.

Accade la vita, la sua, la tua, la mia. 

L’unica differenza è che noi non abbiamo incontrato un assassino.

Il dolore che certe pagine, certe frasi, certe parole provocano è lancinante. Il fiato si sottrae al suo naturale movimento. Si sospende, si assenta. Come si dovesse creare un vuoto sufficientemente ampio da poterlo accogliere, il dolore, e provare a contenerlo, assorbirlo.
Narrare il femminicidio, l’ho detto tante volte e continuerò a dirlo, vorrei non doverlo più dire, significa scavare. Pensare il femminicidio per poterlo narrare significa andare dove non si vorrebbe, significa spalancare porte, dentro e fuori. Occorre lucidità, occorre coraggio. Occorrono le parole.
Narrare il femminicidio della propria sorella è qualcosa che non trova spazio nella mia struttura fisica ed emotiva. Non ho una parola per poterlo descrivere o anche solo per potermici avvicinare.
Cristina Rivera Garza le ha trovate, le parole. Le sue e quelle di Liliana.

Il 16 luglio 1990 Liliana Rivera Garza, vent’anni, viene uccisa dal suo ex compagno Ángel González Ramos. Cristina Rivera Garza, sorella maggiore di Liliana, riesce ad rompere un silenzio interiore e familiare lungo ventinove anni. Riemerge da un lutto difficile da descrivere e condividere e decide che è tempo. Tempo di ricordare, tempo di raccontare, tempo di cercare e ottenere risposte. Tempo di far riaprire l’indagine 40/913/990-07.
E nessuno ha il diritto di decidere quanto tempo è molto tempo e quanto è poco.
Cristina Rivera Garza, attraverso i racconti e i ricordi di chi ha conosciuto Liliana, ma soprattutto attraverso le parole scritte da sua sorella, quaderni, note, appunti, lettere, poesie, testi di canzoni, parole incise conservate in sette scatole di cartone e tre o quattro ceste dipinte di color lavanda, percorre e ricostruisce e si riprende Liliana. E la condivide, fino a farla diventare nostra. Viva. Liliana non è un numero, Liliana non è una statistica. Nessuna di noi lo è. Nessuna di noi dovrebbe esserlo. Nessuna di noi vuole esserlo.
Liliana, viva. Che si scarta dallo stereotipo della vittima inerme predestinata. Liliana, viva. Frammento dopo frammento, lettera dopo lettera, nota dopo nota, ricordo dopo ricordo ci appare nitida, nella sua umana bellezza, nella sua umana imperfezione.
Liliana, viva. Liliana non è un numero. Liliana non è una statistica, Liliana non è uno stereotipo. Nessuna di noi lo è.

La tentazione di ricostruire la vita di Liliana come la vittima inerme di fronte al potere soverchiamente del maschio è stata grande. Per questo ho preferito far parlare lei stessa: ho come l’impressione che, a ogni curva della strada, anche nei momenti più oscuri, Liliana non abbia mai perso la capacità di vedere se stessa come autrice della propria vita.

Cristina Rivera Garza ri-costruisce Liliana e de-costruisce la narrazione parziale, errata, difettosa e complice di quello che le è accaduto.
Pagina dopo pagina, L’invincibile estate di Liliana dice tante cose. Dice l’amore complice tra sorelle, il sentirsi amate, incondizionatamente. Dice l’amore di una padre e di una madre. Dice il senso di colpa e la vergogna, una porta chiusa e sbarrata.

“Cosa non abbiamo visto? Questa è l’eco. Alluce del sole è sempre splendida autunno. Perché nn siamo riusciti a proteggerla? Il sussurro degli abeti sacri. Il chiarore dei pini.”

Dice un contesto, oltre il quale e senza il quale la narrazione perderebbe complessità, verità e universalità. Dice Città del Messico, una città capace di accogliere chiunque. E anche capace di uccidere chiunque. Dice Messico, dove si commettono dieci femminicidio ogni giorno. Dice le donne. 

“Donne sempre sul punto di morire. Donne che muoiono e, tuttavia, sono vie. Con i fazzoletti legati in testa e i tatuaggi sugli avambracci, le donne hanno rivendicato il loro diritto a vivere su questa terra sporca di sangue, lacerato dallo spasmo dei terremotai e della violenza. Proprio qui, esattamente dove camminiamo noi oggi. Un piede su un’impronta.”

Dice che servono le parole, quelle parole che prima non c’erano, per indicare, ma ancora prima riconoscere, una violenza che senza quelle parole resta affare privato, resta panno sporco di cui vergognarsi, resta colpa che non identifica mai il colpevole, in un’esigenza imperiosa, ineludibile, travolgente di esonerare a tutti i costi l’assassino, ma marchia sempre e per sempre la vittima. Resta folklore, resta qualcosa che è così, da sempre e per sempre. La violenza che lavora, implacabile, costante, giorno dopo giorno. Invisibile finché non la si nomina. La violenza normalizzata. Il patriarcato.

“La mancanza di linguaggio è impressionante. La mancanza di linguaggio ci lega, ci soffoca, ci strangola, ci scuoia, ci fa a pezzi, ci condanna.”

E ci dice l’amore romantico, ci dice di quella cultura dell’amore romantico che ci viene consegnata, a scatola chiusa, come fosse tradizione intoccabile. La bellezza della sofferenza, l’immensità del sacrificio, il valore dell’essere capaci di sopportare l’insopportabile, l’estasi nell’annullamento di se stesse per l’altro. L’amore ad ogni costo. La paura di rimanere sole, lo stigma della solitudine, il tarlo dell’incompletezza.

Perché distruzione e disincanto non sono un esempio di romanticismo ardente ma di romanticismo assassino. Perché siamo qui, certo, piene di talenti, non per nutrire la maestria vampirizzante di altri, né per cadere cieche nell’abisso della follia, né per batterci il petto con una pietra come Sam Girolamo. […] perché abbiamo tante cose da dire, fare, pensare, ripensare, ricreare; […] Il desiderio insensato, timido, impetuoso di vivere, di vivere e creare un altro vivere, qualcosa di più bello, qualcosa di più giusto. Per questo abbiamo voce e mani.

La voce di Cristina Rivera Garza ha un suono familiare, parla una lingua che conosco e riconosco. Incide solchi profondi in cui depositare e far attecchire le cose che dice. 
L’invincibile estate di Liliana è un libro potente e delicato, fragile ma deciso. Difficile e necessario. Ed è una storia vera, tenetelo bene quando deciderete di attraversarlo e di conoscere Liliana.

Grazie Cristina, lo buttiamo giù il patriarcato.



L’invincibile estate di Liliana

Cristina Rivera Garza
traduzione di Giulia Zavagna
Sur, 2023 (collana Sur. Nuova serie)
pp. 315

L'invincibile estate di Liliana
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