Anche Ghita, come Rita, fa parte del testo a cui sto lavorando da un po’.
Intanto.
Ghita – un racconto
Ghita si guarda. Il volto riflesso.
Ghita si fissa, il volto riflesso nel vetro. Sa che se lo facesse abbastanza a lungo di lei, nel vetro, non rimarrebbe niente. Solo la casa al di là della strada, con la persiana sghemba della finestra al primo piano.
Ghita si fissa, inclina la testa. Inclina la testa e appoggia il palmo della mano sul vetro.
Accanto al volto riflesso, sotto la persiana sghemba.
Ma non basta. Questo non basta. Vederla adesso, così non basta.
C’è una cosa che dobbiamo provare a sentire. Per capire. No. Per provare anche solo ad immaginare. Rarefatta, senza contorni, non dico capire, no, ma immaginare sì, anche se rarefatto e senza contorni. Quello che dobbiamo provare a sentire è il quotidiano. Che si ripete.
Sentire i giorni, che si fanno uno dentro l’altro, si sfanno. Uno dentro l’altro. Pensare i giorni, i mesi, gli anni. E i giorni, tutti. Uno dentro l’altro, uno dopo l’altro, prima dell’altro, dentro l’altro.
Ghita, silenzio.
Il volto riflesso. Il palmo della mano.
La mano sul vetro.
La testa inclinata.
Non è qualcosa che va e che viene, che a volte accade e a volte no. C’è sempre, accade sempre, anche quando non accade, c’è il prima e c’è un dopo, per questo accade sempre. I giorni si infilano uno dentro l’altro. Uno dopo l’altro, prima dell’altro, dentro l’altro.
Le ore che passano, fatte di secondi, le ore che passano fatte di secondi, i secondi che fanno le ore che fanno i giorni che fanno le settimane che fanno i mesi che fanno gli anni che sono fatti di ore, anni che sono fatti di secondi anni fatti di secondi intrecciati tic tic tic secondi ore giorni mesi anni senza interruzione senza sosta uno dopo l’altro questo dobbiamo sentire per riuscire anche solo ad immaginare.
Tutti i giorni, un peso nel petto. Un bolo, gomitolo sudicio. È difficile respirare, i polmoni non si aprono, non si riesce a respirare, ad aprire i polmoni, a respirare, fino in fondo, non si riesce a respirare fino in fondo, ad aprire, tutto resta indietro, i pensieri anche quelli, i pensieri restano indietro, un passo due passi tre passi indietro. A volte lo vede. Un bolo, un gomitolo sudicio, polveroso. Pensa di toglierlo, penso di aprire e afferrarlo e lavarlo. No. Buttarlo. Ma è li, e non si può aprire, ed è grande radicato, fa parte del suo petto, fa parte del suo corpo, fa parte dei suoi giorni, e mesi e anni. Tutti i giorni.
Immobile, si fissa. Il corpo teso, non troppo. Leggermente proteso. La camicia che indossa, la circonda. La nasconde, come fosse appoggiata ma non indossata. La gonna, le scarpe. Nere con un po’ di tacco. Non troppo. Si fissa, abbastanza a lungo da scomparire.
Resta solo la casa al di là della strada, la persiana sghemba della finestra al primo piano.
Sfila la mano dal vetro, rilassa le spalle con un respiro minimo, diaframma che si contrae. Non troppo.
Sbatte le palpebre. Eccola di nuovo. Accanto alla persiana sghemba. Della finestra al primo piano della casa al di là della strada.
Tutti i giorni. Non si distingue, nel tempo. Si perde e si confonde. I secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni. Soprattutto i giorni. Quelli dobbiamo sentire, i giorni. Fatti di una pasta. I giorni, certo. I mesi, gli anni. Non sono, non hanno un nome, non hanno un pensiero. Non una pasta, non è una pasta. No. Anche le parole si perdono, e i significati. Dobbiamo capire i giorni. Dobbiamo sentire i giorni. Dobbiamo stare nel quotidiano che si ripete senza inizio e senza fine. Un quotidiano infinito in un infinito quotidiano. E non si può uscire, non è come aprire la porta e andare, e anche quello, neanche quello si può fare. Non c’è un pensiero che possa anticipare il gesto, un gesto, qualcosa, un movimento che sia diverso. Se una cosa non la pensi, se una cosa non la riesci ad immaginare quella cosa non esiste. Non esiste il diverso da questo, da questa cosa che vive. Questa cosa in cui sta, immersa. Può solo stare. Sta. Ma non immobile. Sta in uno stato di immobilità, piuttosto. Non attende, non pensa. Non è in procinto di. Uno stare continuo senza fine in cui tutto si sovrappone. Il tempo è assente, il tempo è un sempre inagibile.
Nuvole. Nuvole piccole in cielo, fuori. La luce cambia, i colori calano. Un momento. Il tempo di dirsi qualcosa sotto voce. No, non è nemmeno sotto voce, è solo un sospiro verbalizzato. Piano, le labbra si muovono. Un rumore, ottuso, da qualche parte. La luce cambia di nuovo, sempre e solo per un momento. Nuvole, nuvole piccole in cielo, fuori. Un sospiro, calma devi stare calma. Sta facendo buio, fuori dalla finestra, dentro alla finestra. Nuvole piccole in cielo. Fuori dalla finestra, nuvole, in alto nel cielo.
Sta, nello stato di immobilità. Immutabile. Tesa e immobile. I pensieri non hanno forma in questa cosa in cui vive, i pensieri non si formano. Ci sono le cose che sa, le cose che ha acquisito, i gesti che ha imparato per rendere tutto meno acuto, meno pericoloso, è un non pensiero questa cosa in cui è immersa, è la ripetizione di una serie di cose che deve fare. Solo certi sentimenti sono. Sono acuti, ma sono anche opachi, come quando li perdi. No, come quando non li pensi, non li provi ma ci sei immersa. I pensieri la vivono. I sentimenti la vivono. Il tempo la vive il quotidiano la vive il tempo la vive lei non vive tic tic tic lei sta
Ghita nel vetro. Guarda le nuvole, le ombre. Le luce offuscate dei lampioni. Le fissa. Poi si fissa. Scompare, di nuovo. Di nuovo c’è solo la persiana sghemba. Passa una macchina, fruscio di pneumatici, poi un’altra. Poi un’altra. Poi silenzio. La persiana sghemba al primo della casa al di là della strada. Passa una macchina. Silenzio. Un’altra macchina, poi un’altra. Poi un’altra. Fruscio di pneumatici. Poi un’altra. Poi silenzio. Poi la persiana sghemba al primo piano della casa al di là della strada si scosta, si apre. Poco, leggermente. E si accende una luce.
nel colpo nel calcio nello schiaffo nei capelli strappati sta nella tensione nel dolore nella paura nell’assenza nel tutto nel niente in sé nel sapere nel non volere nell’impotenza nel non desiderio nell’atto della sopravvivenza nello scorrere del tempo nell’isolamento nella perdita nella costruzione dell’illusione tic tic tic sta nelle mani nel corpo sul corpo nello specchio fissa immobile nel viola blu giallo nella deformità nella solitudine nel silenzio nelle urla negli sputi nelle parole tic tic ti tic nel rarefatto nel reale nel pavimento nella porta nei piedi nel sudore nell’eterno immutabile informe infinito tic tic tic sta nel senso di inutilità nella privazione nell’umiliazione nella disperazione nella parola che non esce non si forma non si crea muore nella prima lettera sul primo fiato preso cercando di esistere nello sguardo nelle mani nelle ferite sta a mollo sospesa in un liquido denso e sta al rallentatore sta tic tic tic tic nella sovrapposizione nell’impensabile ecco questo dobbiamo provare a sentire per riuscire anche solo ad immaginare tic tic tic stare in lui che dice inutile che dice stupida che dice puttana che dice muori che dice ti amo che dice domani ma di domani non riconosce il suono e il significato, stare nei movimenti tic tic tic oggi ieri domani minuti ore giorni mesi anni negli spostamenti nelle tregue nei sospiri nei sorrisi tirati nei discorsi nei pranzi nelle cene nelle domeniche, stare nella colpa nel rimorso nel rimpianto tic tic tic nel seguire con lo sguardo nei muscoli tesi come questo quotidiano teso che non si deve spezzare che non può spezzare che non possiamo spezzare che dobbiamo spezzare minuti ore giorni mesi anni nella vertigine nell’oblio nel dolore nella paura nel sollievo nel dolore nella dimenticanza nella ripetizione nell’inafferrabile,
Ė accaduto per caso, anche se niente accade per caso, e tutto comunque accade per caso. Il caso ha voluto, il caso vuole. Il caso accade, è bene che accada, deve accadere. Dovrebbe accadere. Quando accade. Se accade. A questa stessa finestra, non è un caso.
La stessa Ghita, in silenzio.
Lo stesso volto riflesso. Lo stesso palmo della stessa mano. La stessa mano sullo stesso vetro.
La stessa testa inclinata.
Per caso, è accaduto.
La persiana sghemba si è aperta, forse ha cigolato. Questo, da dietro il suo vetro, Ghita non può saperlo. Non può sentirlo. E nella finestra aperta c’era l’altra. E si sono sono viste. Si sono guardate.
Il caso è quasi sempre questione di un attimo.
Ghita è rimasta, ha disubbidito all’istinto. Ha risposto all’istinto. L’istinto è come il caso, accade. È bene che accada, accade. A volte.
Anche l’altra è rimasta, in mezzo alla finestra aperta. Non si è voltata, non se ne è andata.
Ma dobbiamo capire bene che è stata tutta questione di un attimo.
Poi un rumore. Qualcosa che Ghita sente ma l’altra no. L’altra legge solo una contrazione sul viso di Ghita. Un rumore, qualcosa. Ghita chiude le tende. Contatto interrotto.
nell’indicibile,
Poi è accaduto di nuovo. Ma dobbiamo capire bene che in questo caso il caso non c’entra.
L’altra ha inclinato la testa, Ghita ha inclinato la testa.
Ma dobbiamo capire bene che parliamo di sfumature.
L’altra ha sorriso, Ghita s’è sorpresa a provarci. Non è stata sicura del risultato. L’altra le ha chiesto di aprire la finestra, Ghita ha scosso la testa. Pesci in un acquario.
Non se ne sono andate, non si sono voltate.
Domande mute.
Risposte mute.
nelle parole perse, nelle parole sperse, nell’eterno senza un inizio, nella sospensione del sentire, nel sentimento vuoto tic tic tic secondi ore mesi anni nelle ore che passano, fatte di secondi, le ore che passano fatte di secondi, i secondi che fanno le ore che fanno i giorni che fanno le settimane che fanno i mesi che fanno gli anni che sono fatti di ore, che sono fatti di secondi anni fatti di secondi intrecciati tic tic tic secondi ore giorni mesi anni senza interruzione senza sosta uno dopo l’altro
Una volta Ghita ha aiutato l’altra ha scegliere quali pantaloni indossare per uscire fuori a cena. L’altra li teneva appesi alle grucce, un paio per mano, in alto, le mani in alto, le braccia tese, cercando di farli entrare tutti nella finestra.
nelle ore che passano, fatte di secondi, le ore che passano fatte di secondi, i secondi che fanno le ore che fanno i giorni che fanno le settimane che fanno i mesi che fanno gli anni che sono fatti di ore, che sono fatti di secondi anni fatti di secondi intrecciati tic tic tic secondi ore giorni mesi anni senza interruzione senza sosta uno dopo l’altro
Una volta hanno bevuto un tè. In silenzio.
Era stata un brutta giornata.
Per Ghita.
Per l’altra.
In silenzio. Ognuna dietro la sua finestra.
Senza dire una parola.
Come pesci in un acquario.
secondi ore giorni mesi anni senza interruzione senza sosta uno dopo l’altro
Poi è accaduto.
Silenzio.
Quando accade. Se accade.
Sfumature profonde.
L’altra si è indicata l’occhio.
Ghita si è sfiorata il livido.
Domanda muta.
Risposta muta.
Ghita si guarda, il volto riflesso, e guarda la luce accesa oltre la persiana socchiusa. Ghita sospira, un po’ più a fondo, rilassa ancora un po’ le spalle. Si può uscire, adesso. Il pensiero ha anticipato il gesto, il movimento diverso. Un movimento diverso. Una cosa se la pensi, se la immaginino esiste. Esiste il diverso da questo, da questa cosa in cui vive, immersa, qualcosa di diverso da questa cosa che uccide. Si china, prende la borsa. Grande, di pelle scura. Piena, ma leggera. Chiude le tende, non guarda la casa, non guarda niente. Non pensa niente. Domani. Domani penserà qualcosa. Domani penserà. Domani. Cammina, un passo in avanti dopo l’altro, apre la porta in un gesto che non è un gesto di resa. Attraversa la porta. Se la chiude alle spalle. Attraversa la strada, non si volta. Fissa la persiana sghemba socchiusa. Arriva al portone della casa di fronte al di là della strada. Suona il campanello. Il portone si apre. Un passo in avanti dopo l’altro.
Ghita.
Si salverà la vita.
Ghita è stata vista.
Ghita si salverà la vita.
questa storia è un regalo, questa storia è qualcosa che dovevo a me, a Cesca e a Luisa, a tutte le donne che si sono salvate, a quelle che si stanno salvando, a tutte quelle che si salveranno, e a tutte le donne della mia vita
tutte
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